domenica 23 marzo 2014

Lo strano caso della dittatura diffusa

Quando una cosa buona diventa uno slogan da imporre vuol dire che la si vuol rovinare. Da circa cinqant'anni a questa parte la libertà  stato lo slogan più usato, urlato, cantato, recitato, dipinto. Così il concetto di libertà è stato deturpato, calpestato  e volutamente frainteso.

La libertà è una fatica e un rischio. Essere liberi vuol dire esprimere il meglio della natura mana, l'intelligenza, la riflessione, l'amore per il bene, la coerenza, il coraggio, la costanza, ma tutto questo costa fatica. E la possibilità di fare errori, cioè di scegliere male è sempre possibile, quindi il rischio di usare male il libero arbitrio fa parte del gioco della libertà.
Di conseguenza, per chi non è stato allenato alla libertà la tentazione sempre forte e potente è quella di rinunciare a decidere autonomamente e a delegare la propria vita ad altri. 
Proprio perchè si parla tanto di libertà, mai come oggi il mondo è pieno di schiavi. Ce ne accorgiamo facilmente dalla diffusione planetaria delle droghe di ogni tipo, ma non solo. Una quantità di nuove dipendenze si allarga a macchia d'olio, coinvolgendo persone di ogni ceto e ogni età: pornografia, internet, shopping, gico d'azzardo, ecc. Ma non è ancora tutto. Ci sono dipendenze molto ben nascoste, che passano inosservate, ma altrettanto gravi, perchè la gravità di una dipendenza non dipende solo dalle conseguenze sulla salute, ma soprattutto dal privare la persona della sua caratteristica più nobile e distintiva, la libertà, appunto.
Queste dipendenze così subdole sono legate al mondo sociale e relazionale, all'apparteneza ad un gruppo. In effetti, non è difficile sperimentare come ci siano realtà sociali che sotto l'apparenza di istituzioni benefiche e nobili creano una fortissimo legame tra i membri a tal punto di promuovere una totale dipendenza e caratterizzarsi così come vere e proprie "droghe sociali" che invece di produrre tossicodipendenti producono "sociodipendenti", ugualmente bisognosi della loro dose periodica, che può essere una riunione, una convivenza - come in alcune realtà si chiamano certe esperienza forti di condivisione - cerimonie particolarmente cariche emotivamente,  culto della personalità del loro leader, ecc. E' chiaro che mi riferisco al vastissimo mondo delle sette, ma non si tratta solo di sette. Con mia grande sorpresa, ad esempio, ho verificato che alcuni gruppi di auto-aiuto per superare problemi di dipendenza sono efficaci proprio perchè sostituiscono una dipendenza con un'altra dipendenza, quella dal gruppo stesso. E' un paradosso assurdo ma terribilmente umano. Un livello molto elevato di dipendenza lo si trova anche nel vasto mondo della meditazione, dei gruppi buddisti, del reiki, in cui anche contro le evidenze di inutilità si continua a partecipare e ad avere un rapporto fideistico e a-scientifico.
Nel mondo cattolico non mancano pure delle realtà che creano dipendenza. Ci sono diversi movimenti, mal tollerati dalla Chiesa, ma purtroppo sempre tollerati, in cui la religione, invece di essere quel che dovrebbe essere, ovvero la strada privilegiata verso la piena libertà, uccide lo sviluppo pieno del fedele. Questo capita proprio perchè la religione è fraintesa e veicolata da personaggi che non si pongono come strade, bensì come mète. E allora il fondatore è più importante di Cristo, il suo giudizio più significativo della propria coscienza, i suoi scritti più meditati del Vangelo.  Gli aderenti sono scrutati in ogni piega della loro vita, controllati, gestiti e sorvegliati. Per il loro bene, almeno ai livelli più bassi (quelli della buona fede), ma certamente per dominarli e utilizzarli, a livello di vertice.
Questo panorama desolante, di una schiavitù che assume un'infintà di facce, ma che ha come unico effetto quello di dis-umanizzare l'uomo, ha una causa: la crisi della famiglia. 

La famiglia è il luogo della bella-dipendenza, cioè il luogo in cui si dipende gli uni gli altri, ma in nome dell'amore, cioè non per dominare e schiavizzare, ma per fare il bene dell'altro. E il bene supremo, non ci stancheremo mai di ricordarlo, è diventare liberi.  La famiglia è perciò anche il luogo del bel-paradosso: dipendo da te per non dipendere da te e da nessun altro. E come si realizza questo paradosso? Agendo con l'intenzione che l'altro realizzi pienamente il progetto che c'è sulla sua vita, progetto che non avendo creato io, mi vede solo come servitore e promotore: la tua dipendenza dalla mia persona è solo uno strumento per realizzare questo progetto che ti riguarda, di cui non sono padrone,perchè non mi appartiene e non neconosco il destino e il senso.
 Questo bel-paradosso non si può realizzare se non in una famiglia tradizionale, perchè ogni altra unione è solo espressione di egoismo, che è il contrario dell'amore. Ecco perchè la libertà diventata slogan si è accompagnata allo sfascio della famiglia. Risultato dell'equazione: morte dell'uomo libero, nascità della ditatura diffusa.
La vita dell'uomo dovrebbe essere una straordinaria corsa verso l'acquisizione di uno spazio di libertà sempre più ampio, in cui la scelta del bene agevola ogni passo di questa corsa e ogni passo condce ad una nuova scelta del bene. Fino ad esprimere in ogni gesto solo un'intenzione di amore. Ma questa evoluzione umana, che coincide con lo sviluppo del potenziale di libertà individuale, può avvenire agevolmente solo partendo da una base sicura in cui si è sperimentata la bellezza della libertà e dell'amore: la famiglia. La famiglia  tradizionale non va criticata, va aiutata a purificarsi, a guarirsi, a rafforzarsi, a riscoprire l'orgoglio di essere se stessa.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

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