venerdì 28 giugno 2013

Dov'è nascosta la verità?

C'è chi sostiene che la verità sia dentro di noi. Di conseguenza in giro c'è molta gente che fa soldi proponendo corsi, laboratori, incontri esperienziali, libri ed altro, pretendendo di insegnare a noi che siamo confusi e disorientati, il modo giusto per scoprire questa verità e diventare uomini "illuminati".
Se questo fosse vero dovremmo verificare che:
1. Chi pretende d'insegnare agli altri sia lui per primo illuminato. Non mi pare di vedere in giro tanta gente con la luce negli occhi.
2. I metodi per scoprire la verità dovrebbero essere, se non uguali almeno non in conflitto, e anche questo non si rileva.
3. Chi ha praticato questi metodi, almeno qualcuno di questi, sia arrivato all'illuminazione. Io non ne conosco.

Come scusa per nascondere questi risultati così poco incoraggianti i "maestri" utilizzano la famosa frase: "Chi sa non parla e chi parla non sa". Ovvero, se qualcuno ha raggiunto la verità non lo va a raccontare in giro. Mi pare una sciocchezza. Chi è felice e ha scoperto la verità, vorrebbe condividerla con gli altri per fare dell'umanità un insieme di persone pacificate e realizzate. Che gusto ci sarebbe a stare bene da soli in un mondo di bruti inconsapevoli? In realtà questa è la visione degli gnostici, persone poco raccomandabili che si frequentano tra di loro in piccoli circoli di sedicenti saggi e disprezzano la gente comune. 
Bocca della verità
Io penso invece, che la verità non sia affatto presente in noi. In noi esiste una fame di verità, un desiderio di trovarla, un bisogno di realizzarsi in essa. Ma non la possediamo e quindi non la possiamo trovare immergendoci dentro le nostre budella nell'autocontemplazione del nostro inconscio. La verità si trova fuori di noi, è un dono che dobbiamo ricevere da qualcuno che la possiede. Non c'è yoga, meditazione, reiki, antroposofia che regga. Nessun metodo new age, orientaloide, mistico-esoterico
può dare quello che non ha.  Chi ama la verità deve accettare il fatto che si deve incamminare in una ricerca umile e modesta, abbandonando il proprio io ingombrante, camminando sulle orme dei veri saggi che lo hanno preceduto, quelli che non esaltano se stessi e i propri "metodi", ma che indicano al di là del piccolo orizzonte umano la sorgente della verità. E accettare che la verità non sia un'idea, una filosofia, un metodo o una morale, ma qualcosa di concreto che deve avere il potere di cambiare la vita concreta delle persone.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

sabato 22 giugno 2013

Un grande errore

Un grande errore - quanto sto per dire farà rabbrividire gli americani, ma tanto gli americani per fortuna non mi leggono - è questa affermazione: "Ognuno può far tutto" (o anche: "Chiunque può fare qualsisasi cosa, o simili). Ogni affermazione sottintende un pensiero, e ogni pensiero provoca dei comportamenti. Quindi se questa affermazione è un grande errore, anche il pensiero e i comportamenti collegati saranno gravemente sbagliati.
Dire che qualsiasi persona è in grado di fare qualsiasi cosa, significa credere che ognuno di noi, se messo nelle condizioni giuste e avendone le opportunità può realizzare ogni obiettivo. Significa pure pensare che non esistano barriere alle possibilità dell'essere umano, significa che siamo tutti uguali nelle capacità di fare e di realizzare. In altre parole è il pensiero che elimina i limiti, le differenze e le diversità. O meglio, è il pensiero che disprezza i limiti,  le differenze e le diversità, in nome di un'omologazione totale. Credere che una donna possa fare quello che fa l'uomo o che l'uomo possa fare quello che fa la donna è una delle tante conseguenze, come pure l'idea che l'opinione di chiunque sia di pari valore e importanza. In realtà, queste, come tante altre conseguenze, nascendo da un principio sbagliato, sono sbagliate anch'esse, e rappresentano un puro esercizio di demagogia, cioè utilizzare frasi che piacciono alle orecchie della gente e creano una fiducia rosea nelle illimitate capacità umane.
La verità è tutt'altra. 
Le differenze sono belle, necessarie e irrinuncianili all'interno di un sistema naturale. (Poi sono quelli che "fanno" i diversi, in maniera provocatoria, strumentale e artificiosa, ma di questi non ci interessiamo perchè qui stiamo parlando di una reale ecologia antropologica, cioè di una visione sistemica dell'ambiente umano alla luce della retta ragione). Le persone non si possono e non si devono omologare.  Ognuno di noi possiede un proprio ed esclusivo bagaglio di caratteristiche, che dà ad ogni persona una propria fisionomia unica e irripetibile, sia come qualità potenziali da esprimere che come propri  limiti invalicabili. Questo vuol dire che ognuno può fare alcune cose, ma nessuno può pensare di fare tutto o ciò che non gli appartiene come "diritto di nascita". E vuol dire anche che se una persona in un certo momento della vita può fare alcune cose, non è detto che possa farle in un altro. 
La frase "Chiunque può fare qualsiasi cosa" è una perversa invenzione di chi vuole mettere l'uomo in prigione, nella prigione dei desideri irraggiungibili, ma ostinatamente imposti.

Bisogna guarire da questo grave errore, che è una serissima minaccia per la salute psicologica  e l'equilibrio sociale. La via d'uscita è guardare con occhi veri la realtà, rendersi conto che, al di là delle sciocchezze dei film americani, non esistono il superuomo, il vincente, il realizzato, quello che dal niente scala le vette sociali
. Questi sono cartoni animati. Nella realtà, ci sono persone concrete: abili in qualcosa, dis-abili in altre, forti in qualcosa, fragili in altre, sicure in alcuni momenti, piene di dubbi in altri. Ci sono gli alti e i bassi, i chiacchieroni e i silenziosi, i belli e i brutti, i furbi e gli sprovveduti. Diversi gli uni da gli altri, quindi da trattare in modo diverso, ma tutti meritevoli di rispetto, onore e cura in quanto persone, al di là di ogni naturale e utile differenza.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

martedì 11 giugno 2013

Oltre le parole

Papa Francesco non è un marziano. Non ha tre mani e cinque occhi. Non è un tradizionalista esasperato ed esasperante come l'ala più conservatrice e ottusa della Chiesa, ma non è nemmeno un grottesco rivoluzionario modello Don Gallo,  che ha passato una vita a sputare nel piatto in cui mangiava. Francesco è un Papa che insegna e ripete quella che è la dottrina di duemila anni di cristianesimo, perfettamente sulla linea dei suoi predecessori. Non ha inventato niente e non ha buttato via niente di ciò che è essenziale. Eppure Papa Francesco sta ottenendo un'attenzione da parte della gente veramente particolare. Molti, anche non cristiani, quando parlano di lui ne parlano con rispetto e stima. In tanti dicono che la sua forza sta nell'aver sottolineato la necessità di un ritorno ad una Chiesa povera e alla sua attenzione ai poveri. Indubbiamente questo elemento ha colpito, ha sollecitato l'immaginario legato al nome Francesco, richiamando alla mente San Francesco d'Assisi. Ma l'attenzione ai poveri non è certo invenzione di questo Papa. Anzi, nei secoli questa cura delle persone più bisognose è stato per così dire il "marchio di fabbrica" della Chiesa, che ha insegnato al mondo la solidarietà e la creazione di istituzioni dedicate proprio ai più fragili. La Chiesa povera invece è un concetto ambiguo e che si può fraintendere facilmente. La povertà non coincide col pauperismo, e San Francesco non era certo quel buonista che si pensa, ma su questo bisognerebbe soffermarsi con ben altro spazio e approfondimento.
Io credo che la forza di Papa Francesco sia una capacità straordinaria di arrivare con la sua comunicazione al cuore delle persone, costruendo immagini, metafore, esempi che rimangono e che non si cancellano più. Aiutato inoltre dalla sua voce dolce e sincera riesce a dire cose anche scomode, ma che da lui la gente le accetta volentieri.
Di lui potremmo usare la vecchia figura del "Pugno di ferro in guanto di velluto", deciso e inflessibile, ma con modi affabili, cortesi e paterni. E' un Papa che non dà l'idea di essere prigioniero in Vaticano, come purtroppo i suoi predecessori, i quali, pur animati dalle migliori intenzioni sono sembrati in qualche modo limitati nei loro movimenti da una curia invadente e litigiosa. Fino ad arrivare al clamoroso gesto delle dimissioni di Benedetto XVI. Papa Francesco, finora appare timoniere energico e volitivo, non solo desideroso, ma anche in grado di mettere ordine dove occorre. La gente questo lo percepisce, ed è questo che forse spiega la potente attrattiva esercitata da chi è stato chiamato "...alla fine del mondo".

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

martedì 4 giugno 2013

Il cosiddetto "femminicidio"

Orribile invenzione linguistica, il "femminicidio", ma orribile anche ciò che vuole rappresentare. In questo periodo ci sono stati numerosi casi di uccisione e ferimento di donne, spesso per motivi di gelosia e possesso. Cosa ci dice il buon senso in proposito?
1. I pazzi e gli assassini non diventano tali all'improvviso, ma anche all'inizio della storia di coppia certamente avevano dei comportamenti "strani". Se una ragazza accetta di mettersi insieme con una persona non pienamente affidabile ed equilibrata aumenta di molto le probabilità di andare incontro ad un destino tragico. La vecchia regola meglio soli che male accompagnati è sempre valida.
2. La maggior parte di questi soggetti soffrono di dipendenza, o da alcol, o da gioco, o da droghe. Mettersi insieme a qualcuno che ha problemi di dipendenza è un comportamento suicida.
3. Gli uomini, come le donne, non cambiano: si svelano. Il che vuol dire che col tempo e con l'amore il mio fidanzato non cambierà. Se ora mi prende a schiaffi e poi mi chiede scusa, tra un pò mi prenderà a martellate. 
4. L'innamoramento rende cretini. Anche nel tumulto delle passioni occorre conservare il cervello attivo e ascoltare il consiglio di persone sagge.
5. I padri sono i maggiori responsabili se i loro figli diventano delle belve. I padri dei figli maschi devono insegnar loro i valori che un tempo erano definiti "cavalleria", cioè buona educazione, fedeltà, mettere la loro forza a servizio dei deboli, rispetto per ogni persona, imparare a trovare soluzioni ai problemi alternative alla violenza, sicurezza nelle decisioni, prudenza. Se non lo faranno si dovranno assumere tutte le conseguenze delle azioni dei figli.




«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)