martedì 21 maggio 2013

Ma è vero che l'amore finisce?

Proprio ieri, in  una delle tante repliche del sempre piacevole Montalbano, l'assassina, rispondendo al commissario diceva: "Sono nata povera, non volevo rischiare di perdere tutto quello che avevo conquistato, tanto l'amore comunque finisce...".
Le solite frasi fatte, e quindi sbagliate. L'amore, essendo una atto della volontà, finisce solo se non si vuole più amare, altrimenti non può finire. Certo, se si crede ingenuamente che l'amore sia solo sentimento e attrazione, è da scommetterci che finisce, ma allora vuol dire che stiamo parlando ad adolescenti in calore e non a uomini e donne  in grado di intendere e di volere. L'amore, come si è sempre detto, va distinto dall'innamoramento, come la brace va distinta dal fiammifero che serve ad accenderla. Perché l'innamoramento vuol dire stare bene senza fare sforzi per l'altro,  l'amore vuol dire stare bene quando ci si impegna per il bene dell'altro. L'amore è una funzione della volontà, sorretta dall'intelligenza e dal sentimento. Insomma, si può amare, si decide di amare e quindi si ama; ricordando che mentre il sentimento è al di fuori del nostro controllo (non posso sentirmi allegro a mio piacimento), la volontà è qualcosa che appartiene al campo del possibile e del realizzabile. Quindi se io voglio amare per tutta la vita niente e nessuno può impedirmi di farlo.  Se in coppia tutti e due si impegnano su questo fronte, l'assassina di Montalbano può anche  andare a rimettere a posto i pensieri in galera.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

lunedì 20 maggio 2013

Quando i potenti difendono la vittima immaginaria per distruggere un vero innocente

 Dalla "Bussola Quotidiana" di lunedì 20/05/2013

Presidenzialismo gay. 
Quando il presidente della Corte Costituzionale, il presidente della Camera, il presidente del Senato e il presidente della Repubblica parlano a favore dell’omosessualità quasi contemporaneamente e con gli stessi toni siamo nel bel mezzo di un presidenzialismo gay.
Il 17 maggio scorso si è celebrata la Giornata contro la cosiddetta “omofobia e transfobia”, istituita per volontà dell’Unione Europea nel 2007. In tale occasione i presidenti delle Camere e Giorgio Napolitano non solo hanno parlato di omofobia, ma si sono spinti più in là. Nei loro interventi possiamo individuare tre obiettivi che l’ideologia gay vuole far propri il prima possibile.

Il primo: il reato di omofobia o la previsione di un’aggravante specifica. A tal proposito Napolitano ha rivolto un “pensiero particolare a quei giovani che per questo hanno subìto odiosi atti di bullismo che, oltre ad aggravare le manifestazioni di discriminazione, alimentano pregiudizi e dannosi stereotipi”. Pietro Grasso, presidente del Senato, invece ricorda che sul tavolo del Parlamento già ci sono proposte di legge ad hoc ed aggiunge che “obiettivo fondamentale di tali proposte è quello di intervenire sulle norme esistenti per prevenire e reprimere in modo specifico anche chi commette o chi istiga a commettere atti di discriminazione per motivi fondati sull'omofobia e sulla transfobia”. Gli fa eco il presidente della Camera, Laura Boldrini, la quale afferma: “Auspico che il Parlamento riprenda questo lavoro [relativo alla decisione di punire l’omofobia n.d.a] e lo porti finalmente a compimento”.

Il reato di omofobia o l’aggravante specifica in realtà non servono perché già il nostro codice penale prevede il reato di ingiuria che sanziona chi lede l’onore e il decoro di una persona (art 594), la diffamazione (art 595), la diffamazione per mezzo stampa (art. 596 bis) e l’aggravante comune per aver agito per motivi abietti o futili (art. 61). Volendo c’è anche la Legge Mancino del ‘93 che offre strumenti sanzionatori per i cosiddetti crimini d’odio. Inoltre non si comprende il perché l’offesa rivolta ai danni dell’omosessuale deve giuridicamente valere di più dell’offesa ad un eterosessuale, dato che si istituirà un illecito ad hoc. E poi così si aprirà la strada ad un’infinità di altri reati per altrettante classi di minoranze sociali particolarmente deboli: da qui l’anziano-fobia, l’handiccapato-fobia, la catto-fobia e via delirando. Ovviamente l’intento è quello che nessuno più, dai sacerdoti ai giornalisti, possa parlare male non tanto degli omosessuali – cosa ovviamente non condivisibile – bensì dell’omosessualità in quanto tale. Insomma il reato di omofobia inciderà non poco sul diritto costituzionalmente riconosciuto di libertà di parola ed espressione.
Il multimiliardario ebreo ungherese Soros, "vicino" alla lobby gay
Inoltre tutti gridano al fuoco ma l’incendio non c’è. Ammesso e non concesso che atti di discriminazione ce ne siano, questi sono davvero rari. Primo perché le persone con tendenze omosessuali sono in numero risicato: poco superiore all’1% (cfr. R. Marchesini, Omosessualità, in T. Scandroglio, Questioni di vita & di morte, Ares, p. 154). E di certo non tutto questo 1% subirà discriminazioni. Secondo perché lo stesso documento del Dipartimento delle Pari Opportunità denominato “Verso una Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, che qui più volte abbiamo commentato, riconosce che gli atti discriminatori sono assai sporadici. In questo documento si legge che dal 2010 presso l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) c’è un numero verde per la segnalazione (delazione?) di casi di “omofobia”. Le chiamate ammontano ad un numero ridicolo: 135 nel 2012. Tanto che gli estensori del documento ammettono che le “istruttorie” (sic) vengono aperte direttamente dall’Ufficio altrimenti nessuno denuncerebbe alcunché (forse proprio perché non c’è nulla da denunciare). Si aggiunge: “Non risultano, al momento, casi accertati di discriminazione per l’accesso all’alloggio e nel lavoro pubblico o privato [e in ambito sanitario aggiungono poi]. Questa assenza di dati mostra la difficoltà nel far emergere ancor oggi il fenomeno in Italia”: siamo alla caccia alle streghe. Non ci sono discriminazioni, ma nonostante ciò le si vuole trovare a tutti i costi e si fomenta la delazione.
Un secondo fronte d’attacco è il “matrimonio gay”. A tal proposito la Boldrini tiene a precisare: «Gli omosessuali devono veder riconosciute giuridicamente le loro unioni anche in Italia». Anche Franco Gallo, presidente della Corte Costituzionale, non più di un mese fa chiese al Parlamento – ricordando una pronuncia della sua Consulta del 2010 – “una regolamentazione della materia nei modi e nei limiti più opportuni”.
Il terzo obiettivo delle forze omosessualiste - che è meno reclamizzato dei precedenti ma che avrà più peso degli altri – lo potremmo definire così: dalla non discriminazione alla predilezione. Si tratta di superare l’obiettivo di porre sullo stesso piano l’omosessualità e l’eterosessualità in tutti gli ambiti del vivere, e di confezionare per gli omosessuali uno status giuridico-amministrativo privilegiato. Grasso a tal proposito auspica che “lo Stato si attivi non solo per il riconoscimento, ma anche per la concreta protezione dei diritti degli omosessuali. Come rilevato dalla stessa Corte europea dei diritti dell'uomo, il dilagare della discriminazione sessuale o legata all'identità di genere è inversamente proporzionale al livello di tutela giuridica riconosciuto alle coppie omosessuali”.

Avete inteso bene: con la scusa che gli omosessuali sono discriminati – fatto inesistente come abbiamo provato citando un documento non sospetto di partigianeria – occorre tutelarli in modo preventivo, cioè assegnando a loro benefit che il povero ed eterosessuale sig. Rossi mai potrà nemmeno sognare di avere. Una sorta di scudo preventivo anti-discriminazione. Favole? Per nulla a leggere il Disegno di Legge n. 141 del gennaio di quest’anno denominato “Norme contro la discriminazione determinata dall'orientamento sessuale o dell'identità di genere”, presentato presso la Regione Sicilia, in cui si promettono agli omosessuali i primi posti in graduatoria per alloggi e nella ricerca del posto di lavoro: una corsia preferenziale gay. Ovviamente le aziende che non si inchineranno a tal politica “gay friendly” potranno subire “azioni correttive”, cioè sanzioni (art. 4, comma 3).
La predilezione ingiustificata della condizione omosessuale porta con sé inevitabilmente la ghettizzazione dei normali. Ecco infatti cosa ha detto sempre Pietro Grasso un paio di giorni fa: "Io sono veramente e umanamente preoccupato per gli omofobi. Una corretta educazione su questi temi la dobbiamo fare soprattutto per chi soffre di questa 'malattia', per chi vive male, sopraffatto da un'irrazionale paura, dal terrore di uscire di casa, dall'ansia di avere tra i suoi compagni di scuola, di lavoro, tra i suoi amici, i suoi familiari, una persona omosessuale. Diciamocelo, sono cittadini meno uguali degli altri, sono chiusi nel loro guscio, si frequentano solo tra loro, non allargano i loro orizzonti nè il loro cerchio di amicizie. Temono i viaggi all'estero, le feste, gli studentati all'università, gli spogliatoi delle palestre. E' un problema sociale che dobbiamo affrontare davvero, da subito, a partire dai più giovani. Liberiamo gli omofobi dalle loro paure. Vivranno meglio loro, vivremo meglio tutti".

Nel folto dei tanti pensieri che sputano a leggere queste parole, cogliamo due riflessioni. La prima sotto forma di domanda: ma il presidente del Senato a quale fantasiosa realtà si sta riferendo? Dove stanno questi eterosessuali omofobi “sopraffatti da un'irrazionale paura, dal terrore di uscire di casa, dall'ansia di avere tra i [propri] compagni di scuola, di lavoro, tra i suoi amici, i suoi familiari, una persona omosessuale”? Seconda riflessione: caro presidente, sono gli eterosessuali ad essere in minoranza “chiusi nel loro guscio”, ad essere “malati”, ad essere “cittadini meno uguali degli altri”. Siamo noi etero i discriminati, gli emarginati, i rifiutati, gli incompresi. E’ lei stesso ad ammetterlo. Chiediamo quindi una legge contro l’etero-fobia e in genere contro la normo-fobia perché i nuovi paria siamo noi.



«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

sabato 11 maggio 2013

Che cos'è la malattia mentale

  Dando per scontato che cento psichiatri e psicologi daranno cento diverse definizioni di malattia mentale, possiamo individuare alcuni punti certi che distinguono una persona sana da una persona disturbata?
La scienza non si esprime chiaramente su questo, il buon senso sì. Il che vuol dire che lo scienziato, non possedendo criteri sicuri per definire una malattia mentale, non avrebbe nessun diritto a curare qualcosa che non sa esattamente cosa sia e se sia un disturbo. Lo scienziato allora, per orientarsi, ha inventato qualcosa che si chiama DSM, ovvero un libro che elenca le malattie mentali attraverso il raggruppamento e l'organizzazione di sintomi. In altre parole, il DSM dice che se una persona in un certo tempo presenta i sintomi a, b, c, d allora soffre di una certa malattia x. In teoria fila, in pratica no. Perché le malattie elencate sul DSM sono frutto di una convenzione tra specialisti, e sono il risultato di un compromesso tra teste diverse, di tempi e culture diverse. Non per niente nelle varie edizioni del libro, alcune malattie prima presenti, ad un certo punto scompaiono, o viceversa. Questo significa, ad esempio, che le case farmaceutiche  vendono medicine per curare un qualcosa che oggi viene considerato una malattia mentale e domani magari sarà solo un'espressione della creatività personale.  Nulla di certo e di definitivo. Oppure viene "scoperta" una malattia come la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) per cui in America vendono tonnellate di psicofarmaci per i bambini, quando alcuni dubitano persino che esista questo disturbo...
La malattia mentale è uno stato di sofferenza psichica? Non necessariamente. Alcuni malati psichiatrici non soffrono affatto, vivono nel loro mondo senza provare alcun turbamento. La malattia mentale porta a comportamenti anormali? Se si intende come normalità quella statistica, certo no. Ci sono persone che hanno comportamenti decisamente lontani dalla norma statistica e non sono malati. Se anormali vuol dire strani, bisogna domandarsi cosa stabilisce la "stranezza". Qualche decennio fa in Italia vestirsi come si vestono alcuni ragazzi di oggi avrebbe significato come minimo una notte in cella, oggi nemmeno ci badiamo.  La malattia mentale implica dei comportamenti antisociali? No, ci possono essere persone con disturbi mentali completamente innocue e rispettose della legge.
Ma allora la malattia mentale non esiste? Qualche specialista, soprattutto qualche decennio fa, aveva anche provato a  sostenere questa tesi, ma appare decisamente un'idea improponibile. Insomma, la malattia mentale esiste, è comprensibile col buon senso, ma non si può definire se non con degli accordi. Occorre ricorrere a convenzioni, ma sono convenzioni in cui troppi hanno interesse a buttarcisi in mezzo, dai produttori di psicofarmaci, a coloro che vogliono "normalizzare" o al contrario "patologizzare" comportamenti che a loro fanno comodo.
Allora non c'è scampo? In effetti è un terreno estremamente complicato quello del disturbo mentale, complicato e pieno di trabocchetti. Ma un minimo di chiarezza potremmo provare a farlo.
Personalmente ho trovato un criterio che mi soddisfa e che mi è di grande aiuto nello svolgimento del mio lavoro. Io parto dal presupposto che la malattia mentale sia qualsiasi condizione psichica in grado di limitare la libertà di scelta di una persona. Più la libertà è limitata, fino alla sua totale compromissione, più la malattia mentale è grave. Di conseguenza una persona in buona salute psichica è una persona pienamente libera. Per utilizzare questo criterio, bisogna naturalmente definire bene cos'è la libertà. La libertà è sapere scegliere consapevolmente tra più possibilità, in base a dei criteri oggettivi di bene e di male, assumendosi pienamente la responsabilità delle conseguenze a breve e lungo termine della scelta effettuata. Il nevrotico annulla la sua libertà in nome dei suoi comportamenti compulsivi e dei suoi pensieri ossessivi  il depresso mortifica la sua libertà perdendo il desiderio stesso di scegliere, lo psicotico contemporaneamente sceglie e non sceglie, il dipendente si fa scegliere dalla sua droga, e così via. 
La cura comune a tutti coloro che soffrono di disturbi psichici è aiutarli a comprendere che "non si può non scegliere", a formarli all'uso responsabile della propria libertà, ad addestrarli all'assunzione delle proprie responsabilità. In questo senso possiamo affermare che la psicoterapia è l'arte di riconsegnare alla persona la sua libertà.

11/05/13 Tutti i Diritti riservati: Silvio Rossi - Roma


«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

domenica 5 maggio 2013

L'ipocrisia dei potenti che si fanno passare per vittime

 Non si può non ritornare sulla questione dei gay. Ovvero di coloro che continuano a a fare la parte dei perseguitati, degli umiliati, dei reietti, e invece sono quelli che fanno il buono e il cattivo tempo, utilizzando un tale potere da decidere  il destino e la condanna di chi gli pare.
L'ultimo esempio è la Biancofiore, fatta fuori dalle pari opportunità perchè critica verso alcuni atteggiamenti omosessuali (vedi).
Qui un'altra bella rassegna documentata.

Ecco le vittime dell'omofobia...
Insomma, oggi i gay detengono un potere enorme, e quando appiccicano l'etichetta di omofobo a qualcuno, è come quando negli anni settanta venivi accusato di fascismo, il minimo che potevi aspettarti era di trovarti le gomme squarciate, e magari eri solo un professore che si era dimostrato severo verso gli studenti che scioperavano. Oggi non ti squarciano le gomme, ti squarciano la carriera e la dignità,e magari ti portano davanti ai tribunali. Eppure, nonostante questo, c'è la profonda e sfacciata ipocrisia di chi comanda e fa la vittima, di chi stigmatizza e si fa passare da oppresso, di chi sta ai vertici del potere e continua a pretendere attenzione e considerazione. Eppure non sembra proprio che il mondo si possa dividere tra buoni (i gay) e i cattivi (gli altri), viste almeno le ultime notizie di cronaca, tipo il vicepresidente inglese dei Comuni , gay dichiarato, arrestato per stupro di due ragazzi (vedi).


«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)