mercoledì 28 marzo 2007

Una richiesta forte

Moltissime organizzazioni, sia laiche che religiose, hanno dato appuntamento agli italiani per il 12 maggio. A Roma, proprio in quella Piazza San Giovanni, dove il primo dello stesso mese si esibiranno cantanti, sindacalisti e soubrettine per festeggiare il lavoro (più che altro il loro). Ma il 12 invece non si festeggerà nulla: la manifestazione nazionale infatti è stata indetta per far capire ai politici che la gente è stanca di loro. E' stanca di sentire chiacchiere vuote sulla famiglia e di non vedere fatti concreti. Tutto quello che i nostri rappresentanti sanno fare è battibeccare fra di loro e giocare a che le spara più grosse. Una politica per la famiglia è inesistente o - peggio - dannosa. Comitati, commissioni, task force, osservatori. Risultato: la famiglia è sempre più censurata, ostacolata e boicottata. Se iniziative si prendono sono finalizzate alle piccole ma potenti lobby che fanno opinione. Quelle che vogliono i Dico, l'apertura agli omosessuali, l'eugenetica, l'eutanasia. Insomma, i soliti noti, che frequentano i salotti buoni finanziari, le redazioni buone, i talk show buoni, gli amici degli amici. E intanto, molte donne che vorrebbero licenziarsi e stare a casa non possono, perchè il loro stipendio serve; molti uomini, che non sanno se riusciranno a permettersi un mutuo, vivono in perenne ansia; molti figli che vorrebbe sposarsi e mettere su famiglia non ce la fanno. La cultura del precariato è entrata anche nel privato, e la famiglia che ha come sua caratteristica fondamentale la stabilità e la solidità è stata colpita nel profondo.
Allora la manifestazione del 12 maggio a Roma ha proprio questo scopo: urlare in modo tale da farsi ascoltare anche dai sordi. Sordi che non potranno sempre contare sul voto degli amici e dovranno pure fare i conti con la gente vera. Roma, 12 Maggio 2007. Piazza San Giovanni, FAMILY DAY. Che nessuno manchi.

lunedì 5 marzo 2007

Meditazione, rilassamento & c.

Un'utilissima riflessione sulla preghiera e sulla meditazione ci arriva da Papa Benedetto XVI. Nell'angelus di ieri, domenica 4 marzo, ha tracciato con la sua solita chiarezza e profondità il confine tra falsa e vera preghiera. La preghiera, dice il Pontefice, non è "evadere dalla realtà e dalle responsabilità che essa comporta, ma assumerle fino in fondo". Cristo "ci mostra che la vera preghiera consiste nell'unire la nostra volontà a quella di Dio".
Spesso sento dire da persone non credenti che loro praticano la meditazione, che si dedicano a tecniche spirituali; verrebbe da pensare, allora, che anch'esse seguano una loro via religiosa. Ma c'è una profonda differenza tra meditazione new age, yoga, reiki e invece la meditazione cristiana. In tutte quelle discipline è verificabile un allontanamento dalla realtà, guardata con sospetto e sfiducia, c'è una presa di distanza dalla verità oggettiva perseguibile con la ragione. In tutte quelle discipline l'uomo è chiamato ad entrare in se stesso e a trovare dentro di sè la verità e la ragione. In fondo, quelle pratiche sono una sorta di "masturbazione spirituale", cioè di ricerca della felicità nella solitudine e al di fuori di un rapporto con "l'Altro da sè". Per questo motivo portano via dalla realtà e non contribuiscono a creare degli individui pienamente realizzati.
La meditazione religiosa, invece, non è un'evasione dal reale nè una pura discesa narcisistica verso il proprio io, ma una ricerca profonda di una relazione appagante, un ascolto della volontà di Dio in modo da poter uniformare la propria volontà alla sua.


Queste riflessioni sono utili anche trasposte in un piano più laico.

Anche psicologicamente è da evitare l'utilizzo di tutte quelle pratiche che diventano occasioni di estraniamento dalla quotidianità
, ovvero modi per rinchiudersi in una bolla artificiale di benessere autoindotto. Non fanno eccezione a questa regola anche tecniche di relax come il training autogeno, quando non sono utilizzate in modo competente e accorto. Anche le tecniche di rilassamento, infatti, possono essere a rischio di allontamento dalla realtà. In psicoterapia, ovviamente non si pratica la preghiera e non si fa un addestramento alla meditazione religiosa, ma non è nemmeno lecito procurare un distacco artificiale e posticcio dall'esperienza quotidiana. Le tecniche non hanno un valore per loro stesse, devono essere strumenti finalizzati ad assumersi con più consapevolezza le proprie responsabilità e a vivere con più valore la vita di tutti i giorni. Altrimenti si rischia una fuga in un paradiso artificale non molto dissimile da quello chimico procurato dalle sostanze.
Quindi, cari appassionati di meditazione, reiki, yoga e compagnia bella, non fuggite dal mondo, ma cercate di starci dentro con tutti e due i piedi. E pure con la testa!