mercoledì 30 gennaio 2013

Tra Tweet e Post il cervello andrà in crash

Oggi, vinto da un attacco di masochismo ho creato un account su Twitter. Da tempo volevo andare a curiosare da quelle parti, così come su Linkedin (e infatti mesi fa ho creato un account anche lì). Dopo una rapida occhiata, ho deciso che limiterò  in entrambi la mia frequenza, come già faccio anche per Facebook, per i grandi centri commerciali, per i parchi dei divertimenti, per i concerti in piazza e per tutte le altre situazioni in cui la parola d'ordine è: spreco di tempo e rumore. Si potrebbe discutere se in questi non-luoghi si perda tempo perché c'è rumore o c'è rumore perché si perde tempo. Comunque, con buona pace di Sua Santità, che da poco tempo sta su Twitter (ma sono sicuro non per sua responsabilità), i "Social Networks", sono più che altro "Alienating Networks", posti dove sconosciuti, ma tanto intimi, si scambiano informazioni intime su questioni sempre più sconosciute.
Perchè l'equivoco è questo, noi pensiamo che più si parla più si conosce la verità, mentre è proprio il contrario: la verità la si incontra nel silenzio della conchiglia, il mondo ci getta dentro un granello di sabbia, e la conchiglia ci arrotola intorno una perla. Il problema dei social network è che il mondo non si limita ad un granello, ma ci seppellisce sotto tonnellate di sabbia, impedendoci di pensare, di conoscere e persino di respirare.


«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

giovedì 24 gennaio 2013

Dice che la depressione...

 ... sia sempre più in aumento nei paesi occidentali, dice che la depressione colpisca sempre più i giovani, dice che in America gli psicofarmaci stiano sotituendo la colazione del mattino, dice che...

Si dicono tante cose sulla depressione. Ma il Pierino della psicologia potrebbe obiettare che la depressione, così come è descritta nei manuali di psichiatria, sia una definizione piuttosto carente. Da una parte c'è lo sforzo tutto medico di fare un elenco di sintomi, dall'altro l'incapacità di dare conto di un meccanismo biologico che li giustifichi.
Le definizioni mediche delle malattie, in genere, sono sì un elenco di sintomi, ma anche  - man mano che la scienza avanza - l'elenco è accompagnato da un tentativo di coglierne natura e genesi. E quindi a sviluppare cure razionali. Poi la gente muore lo stesso, ma non diamo la colpa ai medici...

Per quanto riguarda i disturbi psicopatologici invece ci si limita necessariamente ai sintomi (che tra l'altro risentono spesso delle mode e del clima ell'epoca) e ogni specialista si sbizzarrisce a trovare spiegazioni per la loro comparsa. Se qualcuno si sorprende si sorprenda pure, lo stupore condito con un pò di ironia è il migliore antidoto al conformismo e alla sudditanza, anche verso la scienza. Dicevamo, le malattie psicologiche e psichiatriche sono qualcosa che ancora sfugge al tentativo dei "dotti" di inquadrarle e spiegarle.
Non parliamo poi della depressione, che oggi se la batte solo con la sindrome bipolare nella statistica delle diagnosi. Spesso, anzi spessisimo mi capita di ricevere nuovi pazienti che vengono con la loro bella etichetta di "Bipolare" o "Depresso" stampata in faccia. Io faccio fatica a sintonizzarmi con queste etichettature. 

Se da una parte è vero che oggi ci sono tante persone con dei sintomi che possono essere inquadrati in un definizione di depressione, crediamo davvero che queste persone sarebbero ancora "depresse" se avessero un senso della vita e della morte? Se per sfuggire alle grandi domande non si rifugiassero in centomila dipendenze? Se per l'incapacità di accettare la loro fragilità non si costruissero infiniti rituali di controllo? Se per non sentire il vuoto d'amore non si legassero in incredibili perversioni affettive? Insomma, ci sarebbe la depressione se la gente trovasse un significato nella sua esistenza, accettandone le caratteristiche e i limiti? In coscienza, per la gran parte dei depressi non credo. Tant'è vero che la psicoterapia più efficace - ma anche la più difficile e fraintesa - è proprio indirizzata a questo, a recuperare il senso del reale, a far affrontare le proprie paure chiamandole con il loro nome, ad accettare le proprie debolezze come patrimonio prezioso da utilizzare con intelligenza. La collaborazione con gli psichiatri qualche volta è necessaria e utile, ma presto, al più presto, occorre uscire dal clichè del malato, e guardare alla persona in cerca di risposte o, ancor prima, in cerca delle giuste domande.


24/01/13 Tutti i diritti riservati: Silvio Rossi - Roma

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

venerdì 11 gennaio 2013

Pre-giudizi

Bene, la prima sezione civile della Cassazione, presieduta da Maria Gabriella Luccioli, ha emesso una sentenza curiosa, che permette a una madre lesbica, convivente con un'altra donna, di avere l'affidamento esclusivo della bambina nata da un precedente matrimonio. In quanto "Alla base della doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza", ma solo "il mero pregiudizio che sia dannoso per l'equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale". In altre parole, dire che un bambino cresce male se è allevato da una coppia di omosessuali invece che da un padre e una madre è un pregiudizio non sostenuto dalla scienza. 
Ora, bisognerebbe dire alla prima sezione civile della Cassazione, presieduta da ecc. ecc. che se ha tanto a cuore la scienza, allora dovrebbe ricordare che la scienza non ha mai dimostrato sperimentalmente nemmeno che se un adulto bacia un bambino in bocca o lo tocca nelle parti intime questo bambino crescerà male. Però lo dicono il buon senso, le osservazioni empiriche e l'esperienza clinica. E se la Dottoressa ecc. ecc. è coerente col suo principio, perchè non si schiera allora a favore della pedofilia? 
La scienza, cara prima sezione civile della Cassazione, presieduta da ecc. ecc., non sempre può dimostrare tutto con provette e alambicchi, ma ci sono cose che sono vere anche senza essere supportate da equazioni scientifiche, e d'altronde se la giustizia dovesse giudicare solo in base ai dati della scienza credo che non andremmo molto lontano.
Comunque, cara prima sezione civile della Cassazione, presieduta da ... se proprio necessita di supporti autorevoli per emettere i suoi giudizi, tenga presente l'autorevole parere di Giuseppe Di Mauro, presidente della Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps): "Studi scientifici importanti ci dicono che il bambino che cresce con una coppia omosessuale è ad alto rischio di problemi psicosomatici, neuropsichiatrici e di depressione, senza contare la confusione nell'orientamento sessuale".  Oltre che quella della filosofa femminista Sylviane Agacinski, moglie dell'ex premier socialista francese Lionel Jospin, e quella del gran rabbino Bernheim, che con un documento di 25 pagine nel quale rovescia ad uno ad uno gli argomenti a sostegno dei matrimoni omosessuali e delle adozioni da parte di coppie dello stesso sesso. E poi ancora il parere dell'intellettuale non credente Ernesto Galli della Loggia, che sul "Corriere della Sera" del 30 dicembre ha riproposto gli argomenti del gran rabbino, ha scritto di condividerli in pieno, auspicando di discuterne senza più sottostare all'imperante conformismo a favore dei matrimoni gay. E, dopo di lui, il 2 gennaio, sempre sul "Corriere della Sera", il parere della famosa psicoanalista, Silvia Vegetti Finzi, che si è schierata contro le adozioni di bambini da parte di coppie dello stesso sesso. E ancora, l'opinione di diversi intellettuali marxisti: il filosofo Pietro Barcellona, il teorico dell'operaismo Mario Tronti, lo scienziato della politica Giuseppe Vacca, il sociologo Paolo Sorbi, tutti concordi contro l'adozione da parte di omosessuali.
Però,  bambini, se un giorno dovesse allontanarsi un vostro genitore e ve lo sostituissero con uno di sesso uguale a quello che resta, non ricorrete a questi sciocchi allarmisti, la Cassazione ha stabilito che voi non soffrirete. E da grandi non venite nemmeno a rompere le scatole da noi psicoterapeuti, non è stato un trauma, era solo un pregiudizio. 


«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

venerdì 4 gennaio 2013

Come raccontarsi favole che sembrano vere

Un mio paziente, persona arguta e intelligente, mi diceva qualche tempo fa: "La cocaina è una medicina immaginata per una malattia immaginaria". Geniale! Ma non solo la cocaina ha questa funzione. Ogni problema psicologico nasconde un tentativo di utilizzare una medicina  immaginata per una malattia immaginaria, sfuggendo perciò il peso di affrontare la malattia vera. Detto in un altro modo, si ha paura di affrontare i problemi reali della vita concreta, e allora si provvede costruendosi degli pseudo-problemi da affrontare con pseudo-rimedi spesso peggiori dei problemi veri.
http://paroleingioco.files.wordpress.com/2009/07/mafalda_sexy.jpg?w=762Quello che noi psicoterapeuti verifichiamo con sempre maggiore evidenza è l'aumento esponenziale di persone che sfuggono dalla vita reale e si costruiscono vite fittizie. Le mantengono in piedi raccontandosi favole e sforzandosi di crederci loro stessi per primi. Persone che utilizzando parole e slogan del "Politically correct", cioè di moda, evitano con cura le parole scomode che rivelerebbero la verità. La società attuale è piena di gente che sarebbe pronta a giurare che Cristo è morto di freddo, cioè a negare la realtà che ha davanti gli occhi, pur di evitare di confrontarsi con le proprie contraddizioni. Intendiamoci, non è una novità, i tentativi di fuga dalla realtà sono sempre esistiti, ma oggi sono divenuti così frequenti da risultare normali e quasi trascurabili, e questi tentativi sono una spia rilevante. Indicano che che il disagio psicologico cresce in misura molto significativa e che alla sua base c'è la difficoltà a confrontarsi con la concretezza del vivere. Il che vuol dire, quindi, che all'origine c'è una questione pedagogica, ovvero la necessità di porre al centro dell'attività educativa il rapporto con il reale. E' la "Sfida educativa" che interpella con urgenza chiunque si occupa di educazione, a iniziare dalla realtà umana più coinvolta che è quella della famiglia.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)