I pazienti in terapia parlano e raccontano molte cose della loro vita. Le loro narrazioni costituiscono il materiale più prezioso attraverso il quale si individuano i nodi che sono alla base delle difficoltà e dei problemi che presentano, e attraverso le parole si aprono anche le porte del cambiamento.
Le narrazioni dei pazienti non sono mai uguali, cambiano da persona a persona, eppure spesso si possono trovare degli elementi comuni presenti quasi in tutti.
Un elemento che spesso si riscontra nei racconti dei pazienti è la scarsità di riferimenti a motivazioni diverse dai propri sentimenti. I pazienti ogni tanto chiedono "E' giusto, no, dottore?", rispetto a qualche comportamento o qualche pensiero, ma più che altro vogliono la conferma autorevole dello "specialista" alle loro azioni, fatte con motivazioni in cui il giusto coincide per lo più con ciò che procura un'emozione positiva. Manca quindi una riflessione personale sulla valenza morale delle proprie azioni. E' come se le persone agissero trascurando completamente ogni aspetto etico, basando le decisioni sull'emozione del momento, sulle pressioni sociali, su considerazioni fondamentalmente egocentriche.
La mancanza di qualsiasi riferimento ad un sistema valoriale è sconcertante. In pratica ci troviamo di fronte a uomini e donne che non si interrogano se certe scelte che devono fare siano giuste o sbagliate, che agiscono in fondo soltanto in base ad un unico criterio, quello del proprio immediato soddisfacimento: faccio ciò che mi soddisfa, faccio sentendomi il più importante, faccio perchè ho il diritto di fare ciò che voglio. Questo modo di pensare e agire non è solo dei pazienti, ma i pazienti trovandosi in una situazione di sincerità e fiduciosa condivisione hanno meno remore a presentare questo aspetto di sè. In realtà è evidente che stiamo parlando di ogni persona, tuttti siamo soggetti a questa egolatria (= adorazione dell'io come se fosse Dio),
E' la mancanza di un sistema di valori oggettivi e vincolanti, ai quali riferirsi, che produce un'esasperazione di questa egolatria fino a creare una matrice comportamentale che produce azioni riferite solo a se stessi, che hanno per metro di misura il proprio tornaconto, che non tollerano alcun limite o necessario compromesso, che se non trovano una realtà disponibile ad assecondarle si costruscono una realtà parallela psicopatologica.
Il fatto è che se rifiutiamo l'esistenza di un sistema base di valori esterno a noi ma vincolante per ognuno (la legge naturale), e ci rifugiamo nell'individualismo più esasperato caricando la singola coscienza dell'onere di costruirsi un proprio sistema di riferimento, il risultato è l'esplosione dell'egoismo assoluto, la risalita delle pulsioni più basse e istintuali e la perdità di ogni capacità relazionale vera, con sè, con gli altri, con la realtà.
Per noi psicologi, svolgere il lavoro psicoterapeutico con persone che hanno questa visione così autocentrata è una vera e propria "Mission Impossible", se non si garantiscono alcuni prerequisiti. Innanzitutto occorre creare una relazione di verità e di leale collaborazione. Poi occorre mettere bene in chiaro che la terapia vera, quella che porta a dei risultati osservabili, e non è una semplice chiacchierata di sfogo per confermare le proprie sicurezzze, può richiedere la fatica di riordinare i propri pensieri, di riflettere in modo spietato sulle proprie scale di valori, di modificare comportamenti, di riconoscere i propri errori. Infine, ma questo è un problema del terapeuta più che del paziente, occorre prendere atto che oggi viviamo ina società fortemente patologica, che produce disagio psichico. La salute significa essere capaci vivere in questo mondo sufficientemente adattati, ma capaci - quando necessario - di andare controcorrente, di pensare in maniera libera, di agire in maniera anticonformista. Se questi principi non sono condivisi da entrambi, terapeuta e paziente, la psicoterapia sarà per il paziente solo un'esborso di tempo e denaro, per il terapeuta una pesante frustrazione.
Il fatto è che se rifiutiamo l'esistenza di un sistema base di valori esterno a noi ma vincolante per ognuno (la legge naturale), e ci rifugiamo nell'individualismo più esasperato caricando la singola coscienza dell'onere di costruirsi un proprio sistema di riferimento, il risultato è l'esplosione dell'egoismo assoluto, la risalita delle pulsioni più basse e istintuali e la perdità di ogni capacità relazionale vera, con sè, con gli altri, con la realtà.
Per noi psicologi, svolgere il lavoro psicoterapeutico con persone che hanno questa visione così autocentrata è una vera e propria "Mission Impossible", se non si garantiscono alcuni prerequisiti. Innanzitutto occorre creare una relazione di verità e di leale collaborazione. Poi occorre mettere bene in chiaro che la terapia vera, quella che porta a dei risultati osservabili, e non è una semplice chiacchierata di sfogo per confermare le proprie sicurezzze, può richiedere la fatica di riordinare i propri pensieri, di riflettere in modo spietato sulle proprie scale di valori, di modificare comportamenti, di riconoscere i propri errori. Infine, ma questo è un problema del terapeuta più che del paziente, occorre prendere atto che oggi viviamo ina società fortemente patologica, che produce disagio psichico. La salute significa essere capaci vivere in questo mondo sufficientemente adattati, ma capaci - quando necessario - di andare controcorrente, di pensare in maniera libera, di agire in maniera anticonformista. Se questi principi non sono condivisi da entrambi, terapeuta e paziente, la psicoterapia sarà per il paziente solo un'esborso di tempo e denaro, per il terapeuta una pesante frustrazione.
Qualcuno potrebbe dire che uno psicologo non dovrebbe entrare negli
aspetti morali delle scelte di un paziente, come se analizzare il
rapporto tra la persona e il suo sistema valoriale sia una forma di
intromissione e di condizionamento, ma è un'obiezione inconstente. La
persona è una, tutto ciò che produce la persona proviene dalla stessa
unità psicosomatica, il sistema valoriale è della persona, agire in
conformità ad esso o in contraddizione provoca delle conseguenze
psichiche. Quindi, uno psicologo può e talvolta deve mettere sotto
osservazione questo aspetto, quando individua delle relazioni con i disagi presentato dal paziente, pur nell'ovvio rispetto che si deve ad
ogni coscienza. Chi scrive ritiene che la Psicoterapia abbia una funzione non puramente tecnica, ma indirettamente sociale e pedagogica, perchè un paziente che si libera delle proprie nevrosi diventa un cittadino più responsabile e solidale, un paziente che vince la propria "egolatria" si apre a nuovi orizzonti di maturità e di responsabilità. Quindi riflettere su questi temi è necessario per noi psicoterapeuti per poter svolgere sempre meglio e più compiutamente il nostro lavoro.
«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)
11/05/14 Tutti i diritti riservati: Silvio Rossi - Roma
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