giovedì 24 gennaio 2013

Dice che la depressione...

 ... sia sempre più in aumento nei paesi occidentali, dice che la depressione colpisca sempre più i giovani, dice che in America gli psicofarmaci stiano sotituendo la colazione del mattino, dice che...

Si dicono tante cose sulla depressione. Ma il Pierino della psicologia potrebbe obiettare che la depressione, così come è descritta nei manuali di psichiatria, sia una definizione piuttosto carente. Da una parte c'è lo sforzo tutto medico di fare un elenco di sintomi, dall'altro l'incapacità di dare conto di un meccanismo biologico che li giustifichi.
Le definizioni mediche delle malattie, in genere, sono sì un elenco di sintomi, ma anche  - man mano che la scienza avanza - l'elenco è accompagnato da un tentativo di coglierne natura e genesi. E quindi a sviluppare cure razionali. Poi la gente muore lo stesso, ma non diamo la colpa ai medici...

Per quanto riguarda i disturbi psicopatologici invece ci si limita necessariamente ai sintomi (che tra l'altro risentono spesso delle mode e del clima ell'epoca) e ogni specialista si sbizzarrisce a trovare spiegazioni per la loro comparsa. Se qualcuno si sorprende si sorprenda pure, lo stupore condito con un pò di ironia è il migliore antidoto al conformismo e alla sudditanza, anche verso la scienza. Dicevamo, le malattie psicologiche e psichiatriche sono qualcosa che ancora sfugge al tentativo dei "dotti" di inquadrarle e spiegarle.
Non parliamo poi della depressione, che oggi se la batte solo con la sindrome bipolare nella statistica delle diagnosi. Spesso, anzi spessisimo mi capita di ricevere nuovi pazienti che vengono con la loro bella etichetta di "Bipolare" o "Depresso" stampata in faccia. Io faccio fatica a sintonizzarmi con queste etichettature. 

Se da una parte è vero che oggi ci sono tante persone con dei sintomi che possono essere inquadrati in un definizione di depressione, crediamo davvero che queste persone sarebbero ancora "depresse" se avessero un senso della vita e della morte? Se per sfuggire alle grandi domande non si rifugiassero in centomila dipendenze? Se per l'incapacità di accettare la loro fragilità non si costruissero infiniti rituali di controllo? Se per non sentire il vuoto d'amore non si legassero in incredibili perversioni affettive? Insomma, ci sarebbe la depressione se la gente trovasse un significato nella sua esistenza, accettandone le caratteristiche e i limiti? In coscienza, per la gran parte dei depressi non credo. Tant'è vero che la psicoterapia più efficace - ma anche la più difficile e fraintesa - è proprio indirizzata a questo, a recuperare il senso del reale, a far affrontare le proprie paure chiamandole con il loro nome, ad accettare le proprie debolezze come patrimonio prezioso da utilizzare con intelligenza. La collaborazione con gli psichiatri qualche volta è necessaria e utile, ma presto, al più presto, occorre uscire dal clichè del malato, e guardare alla persona in cerca di risposte o, ancor prima, in cerca delle giuste domande.


24/01/13 Tutti i diritti riservati: Silvio Rossi - Roma

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

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