Il concetto di "Doppio legame" può essere utilizzato come chiave di lettura per vari fenomeni sociali legati alla comunicazione. Questa volta lo scambio comunicativo che proponiamo di mettere sotto la lente di ingrandimento è particolarmente interessante. Ma prima di iniziare è il caso di recuperare qualche nozione riguardo il “principe del paradosso”.
Il doppio legame è una patologia - la più grave, probabilmente - della comunicazione, e consiste in questo: All’interno di un rapporto di subalternità molto vincolante, e da cui non si può uscire, chi è "Up" cioè chi ha il potere, impone a chi è "Down", cioè a chi è subalterno, un comando a cui di fatto non si può ubbidire, ma a cui non si può non ubbidire. In altre parole, A dice a B che deve fare una certa cosa, ma B - che se non ubbidisce sbaglia - se obbedisce sbaglia lo stesso a causa di come è stato costruito il messaggio.
Con un esempio tutto diventa più chiaro: "Tu devi essere libero" è un messaggio a doppio legame, perché se B non agisce in maniera libera disubbidisce, ma se agisce in maniera libera, la libertà gli è stata comandata, quindi disubbidisce lo stesso.
Il cuore del doppio legame è l'ambiguità di affermare e negare una stessa cosa contemporaneamente, senza che chi riceve la comunicazione possa "Metacomunicare”, cioè ragionare sopra la comunicazione e svelarne il paradosso, proprio per il rapporto di subalternità che rende impossibile contestare chi comanda. Il doppio legame mette il destinatario in stato continuo di fuori gioco, qualsiasi cosa faccia, ma costringendolo a rimanere in gioco.
La nocività della comunicazione a doppio legame, quando è frequente e soprattutto quando è frequente nel rapporto educativo, è stata studiata da insigni specialisti, che hanno ipotizzato addirittura che possa essere una delle possibili cause della schizofrenia. Nella pratica clinica si nota frequentemente la presenza di comunicazione a doppio legame nelle patologie psicologiche più gravi. Mettendo costantemente una persona in condizioni di fuori gioco, cioè di costante errore, la si può portare infatti ad esplosioni di rabbia, al suicidio, a fuga dalla realtà, alla tossicodipendenza, eccetera.
Tenendo conto di questa necessaria premessa, esaminiamo una questione attuale. Fare “Outing” vuol dire dichiarare apertamente di essere omosessuali. Da diverso tempo, ma sempre più frequentemente, le persone con comportamento omosessuale vengono spinte a fare "Outing" da rappresentanti del movimento gay, sia direttamente, sia attraverso comunicazioni cinematografiche/televisive/ecc. I gay sostengono che, siccome essere omosessuali è normale, come essere maschi o femmine, non c'è motivo di non dichiarare la propria omosessualità. I gay non sono solo persone con orientamento omosessuale, ma si distinguono perché sono particolarmente dediti a rivendicare diritti e attenzione sociale attraverso azione politica, propagandistica, divulgativa, insomma sono gli attivisti della situazione. Se una persona con orientamento omosessuale decide di viversi la cosa per i fatti suoi, senza "Outing" ed esibizionismi, rischia di essere fatta oggetto da parte dei gay di pressioni e critiche (nel recente caso di Lucio Dalla è stato anche peggio). Questo tipo di comunicazione, che spinge a manifestare il proprio comportamento omosessuale in nome della sua normalità, a mio parere si connota come comunicazione patologica paradossale, al limite del doppio legame. Il perché è presto detto:
Se il comportamento omosessuale è davvero normale, non si deve avere l'ansia di mostrarlo, proprio per la sua normalità. Un maschio, ad esempio, non ha nessun motivo per mostrare la sua mascolinità: è maschio, punto e basta. Se essere maschi è normale, non c'è bisogno di mostrarlo, lo si è - normali - questo è tutto. Se essere alti un metro e settanta è normale, è normale, senza doverlo gridare in televisione. Quindi, se il comportamento omosessuale è normale, non richiede manifestazioni particolari proprio in forza della sua normalità. Fare “Outing” in nome della sua normalità è quindi una contraddizione. E se non è normale, chi vuole viverselo ugualmente può farlo tranquillamente nel proprio privato, visto che la società lo consente. Insomma: se è normale, non va esibito, proprio per la sua normalità, se non è normale non va esibito lo stesso, ma per la sua anormalità.
Invece la comunicazione dei gay tende a mettere le persone con comportamento omosessuale in una sorta di trappola psicologica: se non esibisci tradisci la causa della normalità, ma se esibisci l’esibizione stessa nega la normalità. Insomma, sei sempre fuori gioco, sei sempre sbagliato. Evidente la somiglianza con il doppio legame. Evidente pure che, come ogni doppio legame, ci si muove in un contesto di sudditanza (i gay hanno un ruolo elitario e autorevole nel mondo omosessuale) da cui non si può uscire, pena l’ostracismo, il rifiuto, l’allontanamento. Queste situazioni psicologiche durissime a cui i gay sottopongono – probabilmente senza rendersene conto – coloro che hanno un comportamento omosessuale, potrebbe causare sofferenze legate al sentirsi oggetto di una comunicazione ambigua che si auto-perpetua nella sua auto-delegittimazione.
Un’ultima considerazione. L’"Outing", che è la dichiarazione pubblica di un proprio comportamento privato, secondo chi scrive rientra nella grande categoria delle pratiche di manipolazione sociale (come quelle usate dai famigerati “Tribunali del popolo” cinesi, o la confessione pubblica di certe sette religiose), in cui le persone sono spinte a dichiarare apertamente cose della loro vita privata - non necessariamente di rilevanza penale – per controllarne sempre più la loro libertà e per garantirsene l’adesione e la fedeltà. Pratiche con cui si annienta la libertà individuale attraverso un controllo dell’autorità sugli aspetti più intimi della vita personale.
La via d’uscita ad una simile violenza psicologica è solo la libertà, cioè lasciare a coloro che adottano dei comportamenti omosessuali la possibilità di viversi nel loro privato le loro scelte, senza sentirsi obbligati a quest’"Outing", che diventa un vero e proprio gesto di coercizione, con le ovvie conseguenze psicologiche del caso.
Alla luce degli studi della psicologia della comunicazione, si può ipotizzare che i messaggi destinati alle persone con comportamenti omosessuali, che le spingono a dichiarare apertamente la loro omosessualità in nome della “normalità” dell’omosessualità stessa, ricadano nella comunicazione a doppio legame, espressione di violenza psicologica fatta a danno degli stessi destinatari dei messaggi.
Nessun commento:
Posta un commento