La scuola, soprattutto quella dell'obbligo, è una spia del funzionamento della società. E se tanto mi dà tanto, la società non sta proprio in forma.
Non conosco, come altre volte ho detto, la situazione in altre parti d'Italia, ma a Roma siamo al limite della crisi di nervi.
Quando una volta le maestre erano maestre, con il loro diplomino delle magistrali, le idee erano chiare: ai bambini bisognava insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Il tutto in un clima di ordine e di rispetto dell'autorità. I bambini imparavano a leggere, scrivere e a far di conto, poi alcuni, portati per lo studio, continuavano, gli altri imparavano un mestiere e andavano a lavorare. La cosa bella è che il diploma di licenza elementare era sufficiente per parlare bene, per avere i rudimenti dell'aritmetica, per ricordare poesie a memoria, per conoscere la geografia e la storia nei suoi punti essenziali. E la cosa straordinaria è che si conosceva pure l'uso del congiuntivo.
Oggi alle maestre si chiedono la laurea, i corsi di aggiornamento, la conoscenza dei disturbi di apprendimento, il lavoro in team, abilità di progettazione, una visione multidisciplinare, un approccio interculturale, quintalate di altre minchiate, e il risultato è il delirio: bambini ignoranti che non sanno coniugare, programmi cervellotici e pasticciati, quaderni in cui si salta di palo in frasca, disordine nella testa, nel comportamento e nell'apprendimento, conflittualità nella classe, assenza di disciplina, litigi e gelosie tra maestre, scaricabarile sui genitori, programmi svolti a salti e senza progressione logica, una didattica che non parte dalle basi, ma dalle conclusioni, maestre che si prendono assenze per ritorsione, dirigenti che non dirigono, maestri che dicono (testuale): "Non perdo tempo a far coniugare i verbi, lo impareranno da soli con l'esperienza", sbandieramento di democrazia che significa solo anarchia e laicismo, inseganti che ruotano continuamente...
Naturalmente non tutti gli inseganti sono così. Ce ne sono, e io li conosco, di bravi e coscienziosi. Ce ne sono, ma sono la minoranza. A onor del vero devo dire, senza alcun tipo di partigianeria confessionale, che le scuole religiose ancora tengono, sebbene abbiano diverse mancanze: il rischio di essere scuole di elite, un eccesso - talvolta - di formalismo, ecc., ma in confronto sono peccati veniali. La prova è che nonostante la crisi molte famiglie fanno grandi sacrifici per togliere i figli dalla scuole pubbliche per iscriverle nelle private. Ma la scelta di una scuola religiosa non dovrebbe rappresentare la fuga dal fallimento della scuola statale, bensì una scelta consapevole e libera, fatta per motivi ideali e impostazione pedagogica. Comunque sia, in quelle isole ancora sparse nel mare burrascoso della scuola, i bambini seguono un apprendimento logico, curato e ben organizzato. Evviva, ma che tristezza.
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