Marco Prato, che insieme all'amico Foffo in un festino omosessuale ha torturato, violentato e ucciso Luca Varani, assoldato per far compagnia ai loro giochi, si è ammazzato nel carcere di Velletri. Ma senza un minimo di violenza, si è suicidato nella maniera più indolore e anestetizzata che è riuscito a escogitare nella cella. Perchè la sua bestialità era per gli altri, su di sè mille premure e delicatezze, anche nella morte non si è riscattato.
La vicenda di Prato e Foffo fa sbadigliare. Perchè il male è noioso e banale. Sempre uguale a se stesso, crudele, pauroso e bugiardo. Due squallidi personaggi che nel loro misero panorama di vita hanno avuto solo tre riferimenti: l'ano dietro, il pene davanti e i tatuaggi tutt'intorno. E quando l'ano, il pene e i tatutaggi esausti da tanta ammirazione e goduria allentavano l'interesse della loro vita, per evitare il rischio che fossero costretti a pensare (ci mancherebbe altro) gli davano giù con cocaina e orge.

A questo punto onore a tanti detenuti che si fanno la loro prigione, coscienti di essersela meritata, che in carcere lavorano, studiano, si laureano. Uomini sì, quelli, che hanno fatto cose brutte, sì, ma se ne assumono la responsabilità fino in fondo.
«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)
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