Sabato 17 settembre, ad un corso di aggiornamento sulla depressione in adolescenza, ho seguito una serie di interventi di vari relatori sul tema. Relatori molti dei quali lavorano in strutture pubbliche, consultori ed altro.
Ho apprezzato in modo particolare la lezione della Professoressa Paola Casolini, docente di Farmacologia e ricercatrice in Neuroscienze, la quale ha illustrato recenti ricerche scientifiche dalle quali emerge sempre più la natura reattiva della depressione. Detto in maniera semplice, lungi dall'essere quel "male oscuro" che nasce dall'inconscio, sembra sempre più evidente come la depressione sia una risposta a fattori esterni alla persona.
Le Neuroscienze lo dicono, e la nostra pratica clinica lo verifica: la depressione - in modo particolare quella in età giovanile - non può essere considerata meramente una malattia da trattare a suon di psicofarmaci in maniera superficiale e affrettata (in sede di corso ci ricordavano come l'efficacia dei farmaci sia tutta da verificare, mentre l'interesse delle case farmaceutiche e gli effetti collaterali di queste molecole siano abbastanza evidenti...). Non è, la depressione, nemmeno un disagio della psiche che può trarre giovamento da trattamenti psicoterapeutici che ignorano il significato esistenziale del sintomo.
Il problema è che, diversamente da chi è all'avanguardia nella ricerca, la maggior parte chi opera sul campo non si è ancora completamente svincolato da una visione antica, vetero/sessantottina, infarcita di ideologia, contaminazioni psicodinamiche mal digerite. E, soprattutto, da una mentalità che ha ripudiato la filosofia. Che c'entra la filosofia? Presto detto.
La filosofia, cioè il ragionamento sull'uomo e sulla realtà, è nata più di due millenni fa proprio per dare una risposta alle grandi domande sull'esistenza, sulla vita e sulla morte. La morte, il terribile tabù di cui oggi nessuno parla. O meglio se ne stra-parla, la si mostra dappertutto, la si banalizza per esorcizzzarla, la si dona anche ai bambini: di oggi la notizia della prima eutanasia al mondo di un bambino - grazie Belgio, sede del Parlamento Europeo (per non parlare degli aborti anche per le giovanissime a cura delle Asl...). La morte diventa splatter, horror, arte macabra o cestino dei rifiuti, così si dimentica che invece è vera, è la nostra realtà e il nostro destino, certo.
La filosofia ha cercato di dare una risposta ragionevole al problema della morte, ad inglobarla in una visione di vita, a promuovere una ricerca spirituale e religiosa soddisfacente. Sembra invece che questo sforzo di ricerca razionale, questa sapienza accumulata, questi cammini intrapresi, siano del tutto sconosciuti ai finti moderni, ai laici e smaliziati guaritori, ai cultori delle terapie emotive ed ottimistiche che ignorano il dramma e lo sforzo di trovare un significato. Così, la persona che non sa trovare un senso diventa depressa, si fa seguire da un'altra persona che banalizza la ricerca di senso e idolatra solo la ricerca di sesso, il sesso va a sostituire il senso, e tutti vissero felici e anestetizzati.
La Psicoterapia deve dare voce alle domande |
In sede di crso, insieme ai colleghi presenti abbiamo provato a ricordare che se gli operatori della salute mentale non avranno il coraggio di andare al cuore della questione, cioè che la depressione è innanzitutto un urlo di impotenza di chi vuole sapere per quale motivo si trova a vivere una vita che non si è dato da solo, tra cent'anni vorremo ancora fare corsi sulla depressione e rimirarci l'ombelico. Ma nel frattempo la psicologia sarà defunta.
«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)
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