martedì 15 dicembre 2015

L'umiliazione della bellezza


Sempre più nelle scuole e nelle università si valuta usando delle apposite griglie: tot errori tot punteggio.  Tale sistema si usa con una buona intenzione, quella di valutare con oggettività, senza condizionamenti e in maniera univoca la prova dello studente. Anche in psicologia si va sempre più in questa direzione: test, questionari, categorie diagnostiche definite ecc. Tutto per poter esprimere un giudizio a prova di verifica (e di ricorso). Se questa abitudine ha qualche - relativamente - vantaggio legale, non ne ha affatto da un punto di vista della validità reale.  Infatti, nonostante l'apparenza di serietà, questo approccio così rigido esprime secondo noi un atteggiamento dogmatico e profondamente antidemocratico. La democrazia infatti è giusta quando dà ad ognuno il suo e non quando dà la stessa cosa a tutti. In questo caso c'è sempre chi riceve di più e chi di meno, ma nessuno ciò di cui ha veramente bisogno.  Una valutazione obiettiva, nonostante l'apparenza, non è mai obiettiva, ma fa riferimento ad un ipotetico “individuo medio” che nella realtà non esiste.  Proprio per questo tale specie di valutazione livella tutti verso la mediocrità e così solo il mediocre risulta vincente. 
La realtà è fatta di persone non di individui, quindi di esseri ognuno diverso dall'altro. La valutazione, che non serve ad incasellare, ma ad aiutare la persona a conoscersi e uscire dalle caselle per crescere nell'autodeterminazione, deve necessariamente essere personalizzata e soggettiva. Un esempio ci aiuterà a capire: se due studenti A e B fanno in un compito lo stesso numero e lo stesso tipo di errori, secondo una valutazione obiettiva dovrebbero prendere sei, tutti e due.  Questo giudizio sarebbe corretto legalmente, ma rappresenterebbe una gravissima ingiustizia di fronte alla verità dei fatti.  Infatti l'insegnante sa benissimo che A ha commesso quegli errori perché non studia e ha un atteggiamento menefreghista verso la scuola, mentre B li ha commessi per pura distrazione, concentrato com'era su soluzioni creative e connessioni tra nozioni che sa padroneggiare alla perfezione. La vera giustizia vorrebbe un cinque per A e un sette per B. Questo tipo di valutazione però, realmente democratica perché attenta lle differenze, richiederebbe maestri esperti, competenti e autorevoli.  Maestri in grado di ottenere rispetto e coraggiosi, cioè che sanno difendere il loro giudizio e rispondere a tono a genitori protettivi e permalosi.  Purtroppo la maggior parte degli insegnanti sono ex sessantottini prossimi alla pensione o figli di sessantottini imbucati col sei (appunto) politico. O insegnanti che vengono da zone disagiate dove si diventa maestre con pratiche assai dubbie e clientelari. Tutta gente che usa le griglie e la democrazia come scudo a difesa della loro incompetenza, o gente che non diventerà mai competente proprio per la scarsa dimestichezza con il giudizio reale. 

Valutare, non ingabbiare
Per non far sembrare quanto detto un’accusa fatta solo alla categoria degli insegnanti, diremo pure che nella psicologia il rischio è simile: incasellare e mettere in griglie chi, in quanto persona, sfugge per natura a cataloghi ed etichette.  Così anche noi, per comodità diagnostica, ci abituiamo a parlare non del Signor X ma del Signor X medio che sta in una certa determinata casella.  Questo rappresenta la fine del Signor X e il fallimento di un vero processo di diagnosi.
La bellezza dell'essere umano è la propria originalità e unicità, e chi deve esprimere per professione una valutazione in adesione alla verità deve farlo senza umiliare questa bellezza.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

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