Sempre più nelle scuole e nelle università si valuta usando
delle apposite griglie: tot errori tot punteggio. Tale sistema si usa con una buona intenzione,
quella di valutare con oggettività, senza condizionamenti e in maniera univoca
la prova dello studente. Anche in psicologia si va sempre più in questa
direzione: test, questionari, categorie diagnostiche definite ecc. Tutto per
poter esprimere un giudizio a prova di verifica (e di ricorso). Se questa
abitudine ha qualche - relativamente - vantaggio legale, non ne ha affatto da
un punto di vista della validità reale.
Infatti, nonostante l'apparenza di serietà, questo approccio così
rigido esprime secondo noi un atteggiamento dogmatico e profondamente antidemocratico.
La democrazia infatti è giusta quando dà ad ognuno il suo e non quando dà
la stessa cosa a tutti. In questo caso c'è sempre chi riceve di più e chi
di meno, ma nessuno ciò di cui ha veramente bisogno. Una valutazione obiettiva, nonostante
l'apparenza, non è mai obiettiva, ma fa riferimento ad un ipotetico “individuo medio”
che nella realtà non esiste.
Proprio per questo tale specie di valutazione livella tutti verso la mediocrità e
così solo il mediocre risulta vincente.
La realtà è fatta di persone non
di individui, quindi di esseri ognuno diverso dall'altro. La valutazione, che
non serve ad incasellare, ma ad aiutare la persona a conoscersi e uscire dalle
caselle per crescere nell'autodeterminazione, deve necessariamente essere
personalizzata e soggettiva. Un esempio ci aiuterà a capire: se due studenti A
e B fanno in un compito lo stesso numero e lo stesso tipo di errori, secondo
una valutazione obiettiva dovrebbero prendere sei, tutti e due. Questo giudizio sarebbe corretto legalmente,
ma rappresenterebbe una gravissima ingiustizia di fronte alla verità dei fatti. Infatti l'insegnante sa benissimo che A ha
commesso quegli errori perché non studia e ha un atteggiamento menefreghista
verso la scuola, mentre B li ha commessi per pura distrazione, concentrato
com'era su soluzioni creative e connessioni tra nozioni che sa padroneggiare
alla perfezione. La vera giustizia vorrebbe un cinque per A e un sette per B.
Questo tipo di valutazione però, realmente democratica perché attenta lle differenze,
richiederebbe maestri esperti, competenti e autorevoli. Maestri in grado di ottenere rispetto e
coraggiosi, cioè che sanno difendere il loro giudizio e rispondere a tono a
genitori protettivi e permalosi.
Purtroppo la maggior parte degli insegnanti sono ex sessantottini
prossimi alla pensione o figli di sessantottini imbucati col sei (appunto)
politico. O insegnanti che vengono da zone disagiate dove si diventa maestre
con pratiche assai dubbie e clientelari. Tutta gente che usa le griglie e la
democrazia come scudo a difesa della loro incompetenza, o gente che non diventerà mai
competente proprio per la scarsa dimestichezza con il giudizio reale.
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Valutare, non ingabbiare |
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Per non far sembrare quanto detto un’accusa fatta solo alla
categoria degli insegnanti, diremo pure che nella psicologia il rischio è simile:
incasellare e mettere in griglie chi, in quanto persona, sfugge per natura a
cataloghi ed etichette. Così anche noi,
per comodità diagnostica, ci abituiamo a parlare non del Signor X ma del Signor X medio che
sta in una certa determinata casella. Questo
rappresenta la fine del Signor X e il fallimento di un vero processo di diagnosi.
La bellezza dell'essere
umano è la propria originalità e unicità, e chi deve esprimere per
professione una valutazione in adesione alla verità deve farlo senza umiliare
questa bellezza.
«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)