Si può fare tutto? No, non si può.
Sembra semplice, ma non è così scontato. Ormai siamo abituati all'idea che tutto sia possibile, che ogni cosa sia a portata di mano, che qualsiasi sogno o ideale possa diventare realtà, che si possa esaudire ogni pretesa e ogni diritto, ogni utopia e ogni ambizione. Che, insomma, tutto ciò che vogliamo, chiediamo e desideriamo si possa fare.
In questi giorni più di una volta mi è capitato di pensare, ad esempio, che uno dei sogni più ricorrenti delle anime belle, (e i sogni, si sà, son desideri, e poi i desideri diventano diritti e pretese) è che tutti possano cambiare. Se la società, le istituzioni, la scuola, i progetti didattici e terapeutici, ecc. ecc. facessero il loro dovere ognuno potrebbe riscattarsi dalla sua condizione, potrebbe migliorare, guarire, salvarsi.
Ho visto la prima puntata della favoletta televisiva "La classe degli asini", ad esempio, dove si mostra, appunto, la storia molto enfatizzata dell'insegnante che combattè contro le classi differenziali. Combattè cioè la separazione anche fisica e istituzionale tra alunni normali e alunni con handicap vari. Non è questa la sede per affrontare un tema così delicato e spinoso, ma quello che davvero è insopportabile di questa comunicazione è il messaggio fuorviante che passa, cioè che tutti possano fare tutto, che non ci siano limiti, che per quanto una persona sia svantaggiata può impegnarsi e ottenere risultati. Questo è un affronto alla verità dei fatti. Non è vero che ogni limite sia superabile. Ci sono persone che non usciranno mai dalla loro condizione, ci sono persone che non guariranno mai, ci sono persone che non si redimeranno mai, ci sono persone che non si integreranno mai. MAI.
Tanti sforzi... e ritrovarsi un salame |
Noi abbiamo il dovere di fare del nostro meglio, e di aiutare gli altri a fare il loro meglio, ma nella consapevolezza che qualche volta il meglio è solo poco di più. Questa consapevolezza non ci deprimerebbe se pensassimo che il valore di una persona non sta in quello che riesce a fare, ma nella coscienza di aver fatto il possibile. Invece no, abbagliati da insegnamenti e dottrine erronee di origine fondamentalmente gnostica, giudichiamo perdenti coloro che non ce la fanno, vorremmo convincerci perciò che si possa superare sempre il proprio limite per essere tranquilli noi, ottimisti verso le nostre possibilità di auto-riscatto e auto-salvezza.
Vorrebbero farci credere che la colpa dei limiti sta nei muri creati dall'uomo, nelle discriminazioni. Vaglielo a spiegare che i muri e le differenze stanno nella natura stessa. Vaglielo a spiegare che l'intelligenza è un processo di discriminazione, cioè di separazione. Vaglielo a spiegare che senza divisioni e separazioni non ci sarebbero enti (in senso filosofico), quindi non ci sarebe nulla. I muri sono sbagliati quando pretendono di separare i giusti dai cattivi, ma non quando marcano la differenza tra realtà diverse e alcune volte incompatibili.
Poi, improvvisamente, la vita ci dà una bella legnata e ci costringe a svegliarci bruscamente dal coma. Per esempio, un Silvano Maritan qualsiasi, ex affiliato della cosiddetta "Mafia del Brenta" di Felice Maniero, a settant'anni suonati esce dal carcere, incontra una conoscenza sempre del giro, ci litiga e l'ammazza con una coltellata. Con buona pace dei buonisti ad ogni costo, che vivono nell'utopia della possibilità universale di risocializzarsi e uscire dalla criminalità. Purtroppo non tutto è possibile, se ne facciano una ragione.
«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)
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