L’ubbidienza è tra le virtù umane quella più odiata
e insopportabile. Semplicemente perché è quella che ricorda all'uomo
che da solo non sta in piedi e ha bisogno di dipendere da qualcuno. Anche
l'umiltà trasmette lo stesso significato ma con l'umiltà si può (e ci si
può) ingannare, con l'ubbidienza invece non si bara, o si
ubbidisce o non si ubbidisce.
Sono pochi quelli che ubbidiscono, ancora meno quelli
che amano ubbidire. E’ vero però che sono pochi anche
quelli che comandano. Di tiranni ce ne sono parecchi, i
comandanti latitano, perché un conto è schiacciare l'altro per i
propri capricci, un conto è saper dare i giusti ordini per il bene
comune.
La
crisi dell'ubbidienza e l'inizio della sua decadenza possiamo datarla con
buona precisione, a cavallo tra il 1400 e il 1500. In
quell'epoca infatti, si crea l'alleanza stretta tra due realtà nascenti, la
riforma protestante di Lutero e l'Umanesimo. Sia Lutero che
gli umanisti esaltavano l'individualismo, l'interpretazione personale e
soggettiva delle Sacre Scritture, il rifiuto di ogni autorità e il primato
della coscienza individuale. Insomma, il trionfo dell’io soggettivo.
Questa rivoluzione dell’egocentrismo, che trova un pretesto storico
nell'abuso della pratica delle indulgenze, in realtà rappresenta una
ribellione dell'egoismo umano e della sua pretesa di autodeterminazione, contro
un sistema comunitario ordinato gerarchicamente che fu il
fulcro degli splendidi secoli medievali. L’abbraccio mortale tra movimento riformatore
e Umanesimo portò presto alla dissoluzione anche politica dell’Europa,
avviando il processo del “particolarismo”, della creazione delle monarchie
nazionali in cui ognuno difendeva il proprio piccolo
interesse contro tutti e contro tutto.
Periodo caotico e frammentato quello della Riforma
protestante, in cui ogni ortolano ed ogni
falegname pretendeva di farsi teologo e di predicare in
piazza. D’altronde, se ognuno rispondeva solo alla sua testa in
ogni testa c'era un Papa ed un Imperatore.
La
disubbidienza quindi, eletta segno d’autonomia e indipendenza, diede inizio,
dopo 15 secoli di epoca antica, all'epoca moderna. Ed infatti l'uomo
moderno, frutto dei successivi quattro secoli di pensiero libero, di
autonomia di giudizio di autodeterminazione, ha finito di liberarsi
nelle braccia amorevoli di Stalin, di Mao, di Hitler, ed
ultimamente della TV ed Internet.
Il luteranesimo è stato il principio di una
frammentazione di cui esso stesso è risultato - ovviamente - vittima. Infatti
dal 1500 in poi si è osservato un susseguirsi di divisioni, guerre
intestine, creazione di sette, chiese locali, predicatori e
chi più ne ha più ne metta, facendo dal mondo protestante un pasticcio colorato e
litigioso, unito solo dall'odio verso Roma, dai
pentecostali ai Testimoni di Geova all'ultimo millenarista che predica in
Hyde Park.
Probabilmente è ora di riscoprire la bontà dell’ubbidienza, la
quale non è triste umiliazione di se stesso, ma saggio e cosciente
riconoscimento di non essere da soli nell'universo, di far parte di un
ordine cosmico all'interno del quale ognuno ha un posto, un compito e
qualcuno da cui dipendere.
Anche se non amiamo sentircelo ricordare, ripetiamocelo: noi
non siamo Dio, abbiamo limiti e imperfezioni che vanno accettati. Invece
la caricatura finale del protestantesimo è il superuomo di Nietzsche, modello
per tutti i supereroi americani a loro volta caricatura dell'ignoranza
eletta a mito. Il superuomo è la pretesa della formica di
toccare il cielo, di andare oltre la propria realtà in una
tensione verso L’onnipotenza. Ovviamente la fine del superuomo è la morte,
ma non quella serena, naturale ed ecologica (perché secondo natura) della
formica, ma quella penosa e autodistruttiva di chi non volendo ubbidire
nemmeno alla morte si ammazza da sè (droga eutanasia suicidio sport
estremi, ecc. ecc.).
Nel nostro corpo tutto obbedisce ad una serie di regole... |
Ho rilevato da tanto tempo che spesso basta ristabilire
l'ordine in famiglia, ricordare i ruoli, mettere ognuno al suo posto, abbassare
le pretese individuali per ritrovare salute e armonia. Non c'è
nulla di più bello che dare regole per amore e ubbidire a regole ricevute
per amore. La trasgressione così è punita innanzitutto dal
dispiacere di aver tradito l’amore, prima ancora che da sanzioni,
comunque accettate come giuste.
L’ubbidienza
crea comunità e fiducia reciproca, invita alla sincerità e ci fa
uscire dalla solitudine del presuntuoso. Chi ha delle
responsabilità deve chiedere ubbidienza, non alla propria persona, ma
all’autorità che rappresenta. Chi ha dei superiori (e ognuno di
noi in un ambito o in un altro ne ha) non deve ubbidire alla
persona del superiore, cosa di nessun significato, ma al ruolo che
riveste, sapendo che nell’ubbidienza rinnova la sua esistenza il
significato del suo essere sociale.
...Ma non vale per tutti, purtroppo |
Non è
facile ubbidire ad un sistema di regole esterne a noi, ma la
storia dimostra che è molto meno nocivo del cedere alla dittatura dei
propri capricci
«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)