lunedì 9 dicembre 2013

Storie di ordinaria psicoterapia

Recentemente da più persone ho ascoltato storie che riguardano il rapporto tra pazienti e psicoterapeuti. E queste storie non mi sono piaciute per niente. Per esempio, una ragazza mi diceva che è stata quasi otto anni in psicoterapia, due sedute a settimana, senza averne vantaggi - quanto meno quelli che lei si aspettava. Sebbene volesse smettere la terapia, non riusciva a dirlo e quindi si è trascinata avanti questa storia con dispendio di tempo e di denaro. Fino quando poi ha smesso, ma con grandi sensi di colpa.
Un ragazzo, che si sentiva ormai bene, quando provava a parlare con la sua psicologa aveva sempre l'impressione di non essere capito, gli sembrava che lei sollevasse continue obiezioni circa il terminare le sedute e si sentiva in qualche modo "bloccato" nella terapia.
E così via con tante altre storie...
Tutto questo non va bene. Sottolineo alcuni punti importanti, affinchè siano d'aiuto a chi si trovasse in condizioni simili:

1. La psicoterapia è per il paziente e non il paziente per la psicoterapia.
2. Il paziente ha diritto a comunicare con il suo terapeuta su tutto ciò che riguarda la psicoterapia, senza che questo sia considerato un sintomo, o comunque che almeno vengano ben distinti i due livelli di ragionamento, aiutando il paziente a fare chiarezza tra i sintomi e i desideri legittimi.
3. Il paziente ha diritto di interrompere la terapia quando vuole. Può parlarne con lo psicologo (quanto meno per buona educazione), ma se non si sente a suo agio ha il diritto di cambiare, senza che questa scelta sia etichettata come espressione di un problema.
4. La psicoterapia ha essenzialmnete uno scopo: rendere la persona più libera per poter decidere autonomamente la propria vita, se non raggiunge questo obiettivo è stata inutile.
5. La psicoterapia deve funzionare. Un bravo psicoterapeuta deve dare al paziente i criteri  affinchè lui (il paziente) stabilisca se funziona o no.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

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