lunedì 27 novembre 2006
domenica 26 novembre 2006
Il fallimento della scuola (e non parliamo di bullismo)
Non mi pare che oggi nella scuola ci sia più violenza di quando, negli anni settanta, i rossi ti spaccavano la testa se eri nero, e viceversa. Comunque sia, anche dando ragione ai giornalisti che ogni tanto hanno bisogno di emergenze per campare, l'emergenza bullismo è un fallimento della famiglia e non della scuola. Il fallimento della scuola è un altro, legato al suo dovere istituzionale, quello di istruire. Per una serie di motivi io sono abbastanza pratico della realtà scolastica romana, soprattutto quella elementare. Posso testimoniare che almeno qui da noi la situazione è drammatica: la scuola pubblica sta producendo degli analfabeti. I bambini escono dai cinque anni delle elementari totalmente inabili dal punto di vista della lettura, della scrittura, della competenza nelle materie fondamentali. Non sanno parlare, nè tantomeno riflettere, su un argomento qualsiasi. Il massimo della performance che è in grado di produrre un bambino di dieci anni è una serie di grugniti incomprensibili e gutturali sull'ultimo modello della play station. Non sto esagerando. I professori delle medie ogni volta che si ritrovano una nuova prima si mettono le mani nei capelli per quello che li aspetterà. Molti arriveranno alla fine delle medie portati avanti dalla disperazione dei loro insegnanti, e approderanno alle superiori in uno stato miserevole. Stanno venendo fuori dalla scuola generazioni di invalidi mentali, che si esprimono con slogan appiccicati, con un frasario da buona domenica di Maurizio Costanzo, con una capacità di critica degna di una scimmia del Borneo. L'aumento della dislessia, della disgrafia, dei disturbi dell'apprendimento, è paurosa. Ormai chi vuole un logopedista per il proprio figlio deve cercarlo solo nel privato, quelli della Asl della mia zona stanno smaltendo le domande del 2001.
La scuola, in modo particolare quella elementare, ha abdicato al suo ruolo. Ci sono istituti in cui una mattinata di lavoro di classe seconda produce solo due addizioni e un dettato (quando c'è qualcuno che ancora si ricorda di farlo) di 3 righe. In compenso si delega alla scuola una quantità di cose che non le spetterebbero (e io ritengo personalmente secondarie): attività di educazione stradale, educazione multiculturale (quando non sanno nemmeno cos'è l'Italia), educazione all'uso degli audiovisivi, educazione allo smaltimento dei rifiuti, corsi di cucina, corsi di scacchi, giornalismo (ma se non sanno mettere due parole una dietro l'altra!), per non parlare dei corsi su Che Guevara o dell'educazione sessuale. Tutto questo diventa un minestrone in cui le idee si confondono e si mescolano in un blob cerebrale in cui non c'è più ordine, metodo, distinzione e chiarezza, ovvero gli obiettivi fondamentali di un processo didattico.
Teniamo pure presente un'altra cosa: il diritto allo studio viene ormai inteso come dovere di trattare scolasticamente tutti allo stesso modo, quando anche un cretino capisce che ci sono bambini naturalmente più capaci, che devono essere alimentati in maniera culturalmente abbondante, e alunni che non arriveranno mai a certi livelli, e che non è giusto che i secondi fermino la marcia degli altri. Ma naturalmente questo farebbe gridare allo scandalo, alla discriminazione dei diversi. Ebbene sì, io sono per la discriminazione, perchè discriminare vuol dire distinguere. Perchè ogni persona è diversa da ogni altra e ognuna deve ricevere in proporzione diversa. Ma i Ministri della Pubblica Istruzione e gli specialisti superpagati che fanno i programmi scolastici, non hanno il coraggio di scelte forti e autorevoli e lasciano la scuola italiana andare alla deriva. Le insegnanti poi, preferiscono dedicare il tempo ad elaborare progetti che brillano per creatività ("I vestiti del mondo" ultimo esempio di questi giorni), mentre i loro allievi non sanno nemmeno leggere e scrivere in maniera appena appena passabile. Creare un caravanserraglio di questo tipo non permette a nessuno di crescere, nè a chi ne avrebbe la piena possibilità, nè a chi necessiterebbe di un percorso più modesto, ma ugualmente dovuto e professionalmente ineccepibile.
Mi rendo conto che sto dipingendo un quadro fosco, oltretutto prendendomi la responsabilità professionale di dire cose abbastanza indigeste, ma è la verità che osservo nella realtà scolastica di cui mi occupo.
Le uniche luci in questo panorama sono quelle ancora accese nelle scuole private, dove non mancano i problemi e i grossi limiti, ma almeno l'ABC è garantito. Ma le scuole private costano, lo stato non sostiene abbastanza questa scelta (che è un diritto della famiglia) e, magari, i genitori che potrebbero farlo preferiscono invece utilizzare il denaro dell'istruzione privata dei loro figli per settimane bianche e fine settimana nell'agriturismo. E dimenticano che l'istruzione, mentre fornisce dei contenuti (di cui si può anche fare a meno - tanto per diventare o portarsi a letto una velina non serve) - crea anche gli anticorpi mentali per non rincoglionirsi del tutto davanti ai calciatori, alle veline e a chi vuole un popolo ignorante per poterlo manipolare meglio.
La scuola, in modo particolare quella elementare, ha abdicato al suo ruolo. Ci sono istituti in cui una mattinata di lavoro di classe seconda produce solo due addizioni e un dettato (quando c'è qualcuno che ancora si ricorda di farlo) di 3 righe. In compenso si delega alla scuola una quantità di cose che non le spetterebbero (e io ritengo personalmente secondarie): attività di educazione stradale, educazione multiculturale (quando non sanno nemmeno cos'è l'Italia), educazione all'uso degli audiovisivi, educazione allo smaltimento dei rifiuti, corsi di cucina, corsi di scacchi, giornalismo (ma se non sanno mettere due parole una dietro l'altra!), per non parlare dei corsi su Che Guevara o dell'educazione sessuale. Tutto questo diventa un minestrone in cui le idee si confondono e si mescolano in un blob cerebrale in cui non c'è più ordine, metodo, distinzione e chiarezza, ovvero gli obiettivi fondamentali di un processo didattico.
Teniamo pure presente un'altra cosa: il diritto allo studio viene ormai inteso come dovere di trattare scolasticamente tutti allo stesso modo, quando anche un cretino capisce che ci sono bambini naturalmente più capaci, che devono essere alimentati in maniera culturalmente abbondante, e alunni che non arriveranno mai a certi livelli, e che non è giusto che i secondi fermino la marcia degli altri. Ma naturalmente questo farebbe gridare allo scandalo, alla discriminazione dei diversi. Ebbene sì, io sono per la discriminazione, perchè discriminare vuol dire distinguere. Perchè ogni persona è diversa da ogni altra e ognuna deve ricevere in proporzione diversa. Ma i Ministri della Pubblica Istruzione e gli specialisti superpagati che fanno i programmi scolastici, non hanno il coraggio di scelte forti e autorevoli e lasciano la scuola italiana andare alla deriva. Le insegnanti poi, preferiscono dedicare il tempo ad elaborare progetti che brillano per creatività ("I vestiti del mondo" ultimo esempio di questi giorni), mentre i loro allievi non sanno nemmeno leggere e scrivere in maniera appena appena passabile. Creare un caravanserraglio di questo tipo non permette a nessuno di crescere, nè a chi ne avrebbe la piena possibilità, nè a chi necessiterebbe di un percorso più modesto, ma ugualmente dovuto e professionalmente ineccepibile.
Mi rendo conto che sto dipingendo un quadro fosco, oltretutto prendendomi la responsabilità professionale di dire cose abbastanza indigeste, ma è la verità che osservo nella realtà scolastica di cui mi occupo.
Le uniche luci in questo panorama sono quelle ancora accese nelle scuole private, dove non mancano i problemi e i grossi limiti, ma almeno l'ABC è garantito. Ma le scuole private costano, lo stato non sostiene abbastanza questa scelta (che è un diritto della famiglia) e, magari, i genitori che potrebbero farlo preferiscono invece utilizzare il denaro dell'istruzione privata dei loro figli per settimane bianche e fine settimana nell'agriturismo. E dimenticano che l'istruzione, mentre fornisce dei contenuti (di cui si può anche fare a meno - tanto per diventare o portarsi a letto una velina non serve) - crea anche gli anticorpi mentali per non rincoglionirsi del tutto davanti ai calciatori, alle veline e a chi vuole un popolo ignorante per poterlo manipolare meglio.
venerdì 17 novembre 2006
Sposi di plastica
Sembra che tutta Italia sia in fibrillazione in attesa del matrimonio tra Tom Cruise e Katie Holmes. Nel frattempo ci annunciano che la data delle nozze tra la vetusta Gina Lollobrigida e il quarantacinquenne imprenditore spagnolo Javier Rigau sono state spostate di due mesi e si svolgeranno a Roma invece che in America. Tutto questo mentre pochi giorni fa gli statistici ci facevano gentilmente sapere che in Italia ogni quattro minuti una coppia si separa. Forse non saranno proprio quattro minuti, ma comunque sono davvero tanti i fallimenti dell'amore.
In realtà non è l'amore che fallisce, ma la stupidità che trionfa. La stupidità di chi parte male, progettando il matrimonio come un evento mondano e spettacolare, come l'apoteosi del safari ben riuscito, in cui è possibile esibire al mondo la preda conquistata. Ognuno secondo le sue tasche. C'è chi si può permettere il Castello di Bracciano, chi si tira dietro frotte di giornalisti, e chi prosciuga tutti i risparmi di mamma e papà per poter indossare un gessato con tuba (modello Eros Ramazzotti appena uscito di borgata).
Non è l'amore che fallisce, l'amore non c'è mai stato. C'è stato un pò di passione e di innamoramento: "Ah signora mia, come mi batteva il cuore!", ma l'amore è un'altra cosa. L'amore richiede donazione e sacrificio, generosità e ancora generosità. La passione pretende possesso ed egoismo, esibizionismo e solo piacere. Un matrimonio basato sull'innamoramento è uno show. E quando il sipario si chiude sullo show i protagonisti si prendono i loro applausi e poi tutti pronti per essere scritturati per un altro spettacolo. Se il matrimonio è centrato sull'amore, allora le nozze diventano un fatto intimo e sobrio, da condividere nella gioia, ma non da esibire, diventano un progetto di vita e non un copione da recitare per qualche replica. A questo proposito, mi piace molto l'idea di don Marco Sanavio, viceparroco a Sant’Anna di Piove di Sacco (Padova), il quale ha presentato una proposta simpaticissima e intelligente, l'iniziativa "Spòsati con 5000 euro", per invitare le coppie di fidanzati a concretizzare il loro desiderio di famiglia con uno stile meno spettacolare, ma più sostanzioso. Per chi è stufo degli sposi di plastica e delle famiglie non famiglie, le informazioni su un modo diverso di avvicinarsi al matrimonio le trova su:
www.sposisubito.it
In realtà non è l'amore che fallisce, ma la stupidità che trionfa. La stupidità di chi parte male, progettando il matrimonio come un evento mondano e spettacolare, come l'apoteosi del safari ben riuscito, in cui è possibile esibire al mondo la preda conquistata. Ognuno secondo le sue tasche. C'è chi si può permettere il Castello di Bracciano, chi si tira dietro frotte di giornalisti, e chi prosciuga tutti i risparmi di mamma e papà per poter indossare un gessato con tuba (modello Eros Ramazzotti appena uscito di borgata).
Non è l'amore che fallisce, l'amore non c'è mai stato. C'è stato un pò di passione e di innamoramento: "Ah signora mia, come mi batteva il cuore!", ma l'amore è un'altra cosa. L'amore richiede donazione e sacrificio, generosità e ancora generosità. La passione pretende possesso ed egoismo, esibizionismo e solo piacere. Un matrimonio basato sull'innamoramento è uno show. E quando il sipario si chiude sullo show i protagonisti si prendono i loro applausi e poi tutti pronti per essere scritturati per un altro spettacolo. Se il matrimonio è centrato sull'amore, allora le nozze diventano un fatto intimo e sobrio, da condividere nella gioia, ma non da esibire, diventano un progetto di vita e non un copione da recitare per qualche replica. A questo proposito, mi piace molto l'idea di don Marco Sanavio, viceparroco a Sant’Anna di Piove di Sacco (Padova), il quale ha presentato una proposta simpaticissima e intelligente, l'iniziativa "Spòsati con 5000 euro", per invitare le coppie di fidanzati a concretizzare il loro desiderio di famiglia con uno stile meno spettacolare, ma più sostanzioso. Per chi è stufo degli sposi di plastica e delle famiglie non famiglie, le informazioni su un modo diverso di avvicinarsi al matrimonio le trova su:
www.sposisubito.it
mercoledì 1 novembre 2006
Santi o pazzi?
Oggi si celebra la festa dedicata a tutti i santi. Strana gente, i santi, dal punto di vista psicologico voglio dire. Sono persone normalissime che fanno scelte anormali. Normalissime perchè chi incontra un santo non vede un marziano con l'aureola sulla testa, vede una mamma, o un impiegato, o un contadino, o un intellettuale, insomma vede una persona come ce ne sono tante. Che si confonde tra tante altre, senza dare nell'occhio o suscitare una grande impressione. Eppure i santi vivono in un modo che a noi crea scandalo e imbarazzo. E' gente che ha una scala di valori diversa dalla nostra, che dà poca importanza a ciò che per noi è vitale e sarebbe pronta a dare la vita (e tante volte la dà) per cose che noi talvolta trascuriamo completamente. I santi sono persone che non amano la sofferenza e se stanno male vanno dal dottore anche loro, ma allo stesso tempo ringraziano Dio per la sofferenza che devono patire e la offrono in riparazione dei nostri peccati. E sanza nemmeno avvertirci. I santi pur facendo una vita normale nel mondo sarebbero pronti a rinunciare a tutto il mondo in nome di Dio, perchè per loro l'amore di Dio ha una forza di richiamo così forte che nulla potrebbe distrarli dall'inseguirlo. I santi non appartengono ad una sola delle categorie in cui noi dividiamo la gente: poveri, ricchi, colti, ignoranti, occidentali, orientali, giovani, vecchi. Ci sono santi di tutte le specie e di tutte le appartenenze, l'unica cosa che li unisce è la spasmodica, violenta, imbarazzante aspirazione a fare la volontà di Dio, talvolta fregandosene completamente di quella che è la volontà dell'uomo. Epppure, allo stesso tempo, i santi amano l'uomo, lo servono, si spezzano per farsi nutrimento di chi ha fame. Strana gente, i santi, pronti a lasciare casa, amici, professione, onori, famiglia per una promessa di felicità. Eppure questa promessa continua ad essere presa molto sul serio, se - come ci ricordano le ultime statistiche - solo negli ultimi due anni sono aumentate di trecento unità le ragazze che hanno chiesto di entrare in convento come monache di clausura. Strana gente i santi, chiacchierano poco, hanno un pessimo carattere, ma quando ti sorridono ti fanno intuire quanto deve essere bello il Cielo.
Iscriviti a:
Post (Atom)