mercoledì 30 luglio 2014

La colpevolizzazione, arte della sopravvivenza

L'arte della colpevolizzazione va appresa fin da bambini, occorre allenarsi fin da piccoli per diventare sufficientemente vigliacchi da adulti.
Non sono stato, io, è colpa del Karma!
Se un bambino dice che è stato lui a fare una marachella bisogna picchiarlo selvaggiamente fino a che non capisce che deve dare la colpa a qualcun altro; se frequenta delle cattive compagnie, per esempio ragazzini sinceri o - disgraziatamente - coerenti, bisogna intervenire duramente per metterlo in un gruppo di scaricabarile. Guai a mandarlo in una classe con una maestra che si assume delle responsabilità! Cercare piuttosto un'insegnante che dia la colpa degli insuccessi agli alunni e non alla sua incompetenza. 
E' importante anche scegliere come pediatra un medico che non fa diagnosi nemmeno per un raffreddore, ma che richiede sempre esami di conferma, uno di quelli che se ha confuso una faringite con le emorroidi dà la colpa al paziente che ha la faccia come il culo.
E' difficile essere uomini moderni, vigliacchi professionali ma travestiti da eroi, pronti a  passare la colpa a qualcun altro e capaci di prendersi i meriti altrui.  Difficile ma necessario. Eliminare ogni residuo di assunzione di responsabilità è quanto mai importante per la carriera, per evitare antipatie e risultare furbi. 
La vetta sublime dell'arte della colpevolizzazione, che pochi sono in grado di raggiungere, è far sentire l'altro in colpa non solo di cose che ha commesso (roba da terza elementare) o di cose che abbiamo fatto noi (già passabile), ma di cose che nessuno ha fatto, ma che lasciamo credere siano accadute: "Ti senti un eroe per quello che hai fatto"? "Perché cosa ho fatto"? "Se non lo capisci da solo allora vuol dire che ho sbagliato tutto"! "Ma cosa hai sbagliato"?  "Ecco lo vedi, oltre tutto sei anche un ingrato, con tutto quello che ho fatto per te". E così via, in un crescendo da applausi.              
Colpevolizzare è molto comodo sul lavoro. Se un cliente si lamenta per un lavoro mal fatto, una via d'uscita onorevole è sempre quella di prendersela con chi ha creato in passato le condioni sfavodevoli che ci hanno impedito di fare le cose giuste. Se nostra moglie si lamenta delle scarpe fuori posto possiamo sempre colpevolizzare lei per la scarsa igiene nella scarpiera che ci costringe ad agire così, ecc. ecc.
Ma la colpevolizzazione si può applicare anche e soprattutto usando la valvola suprema, quella dello Stato. Se le cose vanno male è colpa dello Stato, se mi ubriaco è colpa dello Stato, se passo col rosso è colpa dello Stato, se faccio prostituire la zia è colpa dello Stato, se ho rotto un vetro la colpa è dello Stato. Mai parlare in prima persona, mai chiedere scusa, mai pentirsi. Noi non siamo stati, è stato lo Stato.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

martedì 15 luglio 2014

Connessioni condivise

  Basta guardarsi intorno e c'è tutto un mondo di cellulari e tablet perennemente connessi a internet, perennemente intasati da notifiche dei social network, perennemente occupati da messaggi e scambi. 
Come è facile dimostrare, più cresce la connessione pura - cioè quella in qualche modo "autistica", più aumenta la solitudine. Perchè la connessione è legata alla quantità (di persone della propria rete, di messaggi scambiati, ecc.), mentre la relazione è legata alla qualità. Se il tempo della connessione aumenta, diminuisce il tempo da dedicare a coltivare rapporti con le persone vere. Noto con un certo divertimento che.soprattutto i ragazzi raggiungono in questo campo dei livelli  surreali. Quando conoscono qualche coetaneo la prima cosa che fanno è inserirlo tra i loro contatti su Whatsapp e Facebook. Cosi uno viene riconosciuto amico vero quando viene iscritto nel mondo degli amici virtuali. Però sono sempre i ragazzi che ci suggeriscono un modo di vivere la connessione digitale senza spersonalizzarsi: condividere la cpnnessione, cioè utilizzare i cellulari e o computer insieme, in gruppo. 
Cattiva connessione
Ottima connessione
Giocare oppure navigare o scambiarsi foto e musica stando fianco a fianco. Perchè il vero problema delle nuove tecnologie è l'uso solitario e individualista. L'era digitale va affrontata all'interno di relazioni valide e non deve sostituirsi ai rapporti con persone in carne ed ossa. Per dirla in un modo un po' complicato: la connessione autistica, che costruisce solitudini condivise, deve essere sostituita da una connesssione socialmente condivisa che aumenti le relazioni autentiche.


«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

mercoledì 9 luglio 2014

Gli eccessi in Psicoterapia

 
La psicoterapia deve fronteggiare spesso un pericolo che può compromettere il buon esito del trattamento. Il pericolo in questione si chiama eccesso. La tendenza all'eccesso è presente sia nel paziente che nel terspeuta e si può manifestare in vari modi, non sempre chiaramente riconoscibili.  
Non deve stupire che anche il terapeuta sia sogggetto  al percolo di eccedere, la verità è che ogni persona condivide  la stessa  tendenze alla ricerca del successo, e una volta trovata una modalità valida allo scopo si pensa di reiterarla con ostinazione senza mai arrivare ad una conclusione. Questo meccanismo vale anche se il successo è quello terapeutico e se riguarda il bene del paziente. 
Facciamo degli esempi. Il paziente può eccedere idolatrando la terapia, vivendola come la panacea per ogni male, attribuendole la capacità di risolvere qualsiasi problema e di donare la felicità. Nonostante l'apparenza buona, questo atteggiamento è segno di una tendenza all'idealizzazione e alla deformazione della realtà quanto mai negativa. La terapia come sappiamo (LINK) va usata nel.modo giusto chiedendole quello che può dare, ma rimanenndo nelle sue competenze. Si può eccedere anche raccontando nelle sedute una quantità di dettagli e particolari che invece di aiutare a far chiarezza creano solo una cortina fumogena che nasconde le questioni chiave. In questo caso l'eccesso di racconto diventa una carenza di verità. Il modo giusto di procedere è sintetizzare dei temi ricorrenti e trasformarli in punti fermi della storia individuale su cui lavorare, senza perdersi in mille rivoli dispersivi. 
Qui si esagera...
Il terapeuta pure può eccedere. Ad esempio ponendosi degli.obiettivi troppo alti. Compito dello psicologo è rendere una persona libera di compiere le prprie scelte conoscendo e gestendo quei fattori limitanti che prima la condizionavano. Puntare ad una completa realizzazione del paziente e al superamento di tutti i suoi limiti può essere un eccesso.  Non tutti possono arrivare a tutto. Un altro modo di eccedere dal punto di vista del terapeuta è quello di voler spiegare ogni cosa. E' una pretesa narcisistica pericolosa e fuorviante. Nessuno è in grado di entrare così profondamente nel cuore umano da svelarne integralmente le profondità e le dinamiche. Ci saranno sempre (e ci dovranno essere sempre) zone intime, private e insondabili, luoghi della coscienza e della lotta e della libertà, chiusi e irragiungibili. Il terapeuta potrà indicarrne l'esistenza, potrà alleviarne il dolore, potrà incoraggiarne l'esplorazione, ma niente più di questo. Ogni eccesso in questo campo è un danno e - a parer mio - un delitto. Ecco perchè la terapia non può durare un tempo troppo elevato. Anche questo è un eccesso.
Come si vede, tanti sono i modi con cui si può andare oltre in psicoterapia. La regola d'oro per evitare pericoli è praticare la virtù della sobrietà, cioè della ricerca del giusto mezzo. Abituarsi a pensare, vivere, lavorare, riposare, parlare... QB - Quanto Basta: non poco non troppo.
Oggi noi viviamo in una società degli eccessi, in cui qualsiasi sciocchezza viene vissuta in modo esagerato, come se fosse questione di vita o di morte. Siamo assuefatti all'eccesso. Ma questa società, come possiamo tilevare anche ad uno sguardo superficiale, certamente non è a misura d'uomo. L'attitudine all'eccesso fa vivere sempre sotto un carico di stress
elevatissimo, con un'attivazione abnorme dell'arousal. Insegnare a recuperare il senso della sobrietà e della giusta misura è uno dei compiti insostituibili di uno psicoterapeuta.

09/07/14 Tutti i diritti riservati: Silvio Rossi - Roma

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)