domenica 26 novembre 2006

Il fallimento della scuola (e non parliamo di bullismo)

Non mi pare che oggi nella scuola ci sia più violenza di quando, negli anni settanta, i rossi ti spaccavano la testa se eri nero, e viceversa. Comunque sia, anche dando ragione ai giornalisti che ogni tanto hanno bisogno di emergenze per campare, l'emergenza bullismo è un fallimento della famiglia e non della scuola. Il fallimento della scuola è un altro, legato al suo dovere istituzionale, quello di istruire. Per una serie di motivi io sono abbastanza pratico della realtà scolastica romana, soprattutto quella elementare. Posso testimoniare che almeno qui da noi la situazione è drammatica: la scuola pubblica sta producendo degli analfabeti. I bambini escono dai cinque anni delle elementari totalmente inabili dal punto di vista della lettura, della scrittura, della competenza nelle materie fondamentali. Non sanno parlare, nè tantomeno riflettere, su un argomento qualsiasi. Il massimo della performance che è in grado di produrre un bambino di dieci anni è una serie di grugniti incomprensibili e gutturali sull'ultimo modello della play station. Non sto esagerando. I professori delle medie ogni volta che si ritrovano una nuova prima si mettono le mani nei capelli per quello che li aspetterà. Molti arriveranno alla fine delle medie portati avanti dalla disperazione dei loro insegnanti, e approderanno alle superiori in uno stato miserevole. Stanno venendo fuori dalla scuola generazioni di invalidi mentali, che si esprimono con slogan appiccicati, con un frasario da buona domenica di Maurizio Costanzo, con una capacità di critica degna di una scimmia del Borneo. L'aumento della dislessia, della disgrafia, dei disturbi dell'apprendimento, è paurosa. Ormai chi vuole un logopedista per il proprio figlio deve cercarlo solo nel privato, quelli della Asl della mia zona stanno smaltendo le domande del 2001.
La scuola, in modo particolare quella elementare, ha abdicato al suo ruolo. Ci sono istituti in cui una mattinata di lavoro di classe seconda produce solo due addizioni e un dettato (quando c'è qualcuno che ancora si ricorda di farlo) di 3 righe. In compenso si delega alla scuola una quantità di cose che non le spetterebbero (e io ritengo personalmente secondarie): attività di educazione stradale, educazione multiculturale (quando non sanno nemmeno cos'è l'Italia), educazione all'uso degli audiovisivi, educazione allo smaltimento dei rifiuti, corsi di cucina, corsi di scacchi, giornalismo (ma se non sanno mettere due parole una dietro l'altra!), per non parlare dei corsi su Che Guevara o dell'educazione sessuale. Tutto questo diventa un minestrone in cui le idee si confondono e si mescolano in un blob cerebrale in cui non c'è più ordine, metodo, distinzione e chiarezza, ovvero gli obiettivi fondamentali di un processo didattico.
Teniamo pure presente un'altra cosa: il diritto allo studio viene ormai inteso come dovere di trattare scolasticamente tutti allo stesso modo, quando anche un cretino capisce che ci sono bambini naturalmente più capaci, che devono essere alimentati in maniera culturalmente abbondante, e alunni che non arriveranno mai a certi livelli, e che non è giusto che i secondi fermino la marcia degli altri. Ma naturalmente questo farebbe gridare allo scandalo, alla discriminazione dei diversi. Ebbene sì, io sono per la discriminazione, perchè discriminare vuol dire distinguere. Perchè ogni persona è diversa da ogni altra e ognuna deve ricevere in proporzione diversa. Ma i Ministri della Pubblica Istruzione e gli specialisti superpagati che fanno i programmi scolastici, non hanno il coraggio di scelte forti e autorevoli e lasciano la scuola italiana andare alla deriva. Le insegnanti poi, preferiscono dedicare il tempo ad elaborare progetti che brillano per creatività ("I vestiti del mondo" ultimo esempio di questi giorni), mentre i loro allievi non sanno nemmeno leggere e scrivere in maniera appena appena passabile. Creare un caravanserraglio di questo tipo non permette a nessuno di crescere, nè a chi ne avrebbe la piena possibilità, nè a chi necessiterebbe di un percorso più modesto, ma ugualmente dovuto e professionalmente ineccepibile.
Mi rendo conto che sto dipingendo un quadro fosco, oltretutto prendendomi la responsabilità professionale di dire cose abbastanza indigeste, ma è la verità che osservo nella realtà scolastica di cui mi occupo.
Le uniche luci in questo panorama sono quelle ancora accese nelle scuole private, dove non mancano i problemi e i grossi limiti, ma almeno l'ABC è garantito. Ma le scuole private costano, lo stato non sostiene abbastanza questa scelta (che è un diritto della famiglia) e, magari, i genitori che potrebbero farlo preferiscono invece utilizzare il denaro dell'istruzione privata dei loro figli per settimane bianche e fine settimana nell'agriturismo. E dimenticano che l'istruzione, mentre fornisce dei contenuti (di cui si può anche fare a meno - tanto per diventare o portarsi a letto una velina non serve) - crea anche gli anticorpi mentali per non rincoglionirsi del tutto davanti ai calciatori, alle veline e a chi vuole un popolo ignorante per poterlo manipolare meglio.

2 commenti:

Matteo Mazzoni ha detto...

Posso solo applaudire chi fa considerazioni del genere, tanto politicamente scorrette quanto dannatamente vere...

Anonimo ha detto...

ti piacerebbe
caro dottore Silvio Rossi psicologo, che io, docente, scrivessi un articolo analogo sul fallimento della psicologia come scienza che ha dei presupposti pseudo-scientifici e serve solo per fornire un alibi a gente che ha idee preconcette per potere disquisire di qualsiasi cosa con la supponenza dell'uomo di scienza? Io non lo farei gratuitamente e senza essermi documentato sufficientemente mentre vedo che la scuola continua ad offrire facile terreno di speculazioni vuote.