mercoledì 29 febbraio 2012

Il guinzaglio, e altre storie tossiche

Il prossimo 23 marzo, sono invitato come ospite ad un pomeriggio di confronto sul tema delle dipendenze.

Il programma dell'evento, organizzato dalla mia collega Dott.ssa Filippelli, dal titolo "Le dipendenze attuali, cause, prevenzione ed interventi", mi sembra opportuno e utile, sopratutto per i genitori e gli educatori. La sede sarà in Via Isola Bella, 7, dietro il mercato di Viale Adriatico, abbastanza vicino a Piazza Sempione.

Dopo i saluti dei politici e degli ospiti, (il tutto dovrebbe iniziare intorno alle 16,30) ci saranno diversi interventi di specialisti, e a me è toccato il compito di chiudere il pomeriggio. Il mio contributo non dovrebbe  cominciare prima delle 18,45.
Il titolo del mio intervento suona un pò strano: "Il guinzaglio, e altre storie tossiche", ma prende lo spunto da una frase di una eroinomane che ho sentito fuori da un SerT di Roma, l'anno scorso. Ne ho già accennato su questo blog tempo addietro, e mi sembrava interessante riprendere da lì la mia riflessione. Ho preparato una presentazione su Power Point, che sarà, dopo l'incontro, sul sito della Associazione Kriterion a disposizione degli associati. Spero di vedervi numerosi, per salutarci di persona e confrontarci insieme su temi così coinvolgenti.

Qui di seguito un estratto del mio intervento:

  Il Guinzaglio
   e altre storie tossiche…

Alcuni pensano che la dipendenza sia un problema essenzialmente medico. Altre credono che riguardi soprattutto l’ambito psicologico. A noi sembra, invece, che pur coinvolgendo l’uno e l’altro aspetto, della dipendenza non si possa capire l’essenza più intima se non considerandola un prodotto di una distorsione culturale. La dipendenza è una logica conseguenza di un modello sbagliato di pensiero.
L’affermazione spontanea di una tossicodipendente, che attribuisce il problema della droga (ma in realtà di ogni dipendenza) alla mancanza di un guinzaglio,  offre l’occasione per ragionare sul vero significato della libertà. Di quanto – nella nostra società – il concetto di libertà sia in realtà una caricatura che annienta l’essere umano e lo costringe (per non perdersi) a costruirsi nella dipendenza una custodia della propria identità. La dipendenza è quindi una pessima soluzione per un vero problema, quello della libertà.
L’attività che occorre potenziare è quella della prevenzione, e la prevenzione che dà risultati deve svelare la realtà dell’uomo al di là di ogni ideologia. Troppe volte si ragiona in termini di pregiudizio, anche  in luoghi dove invece dovrebbe essere stimolata una riflessione indipendente e autonoma. Ma finché non si creeranno laboratori culturali svincolati dalle ideologie imperanti non si potrà cogliere il profondo significato del fenomeno delle dipendenze.
Si può uscire da una dipendenza? Dallo shopping compulsivo, dalla web/dipendenza, dalla pornografia, dalla cocaina? E’ una domanda importante, alla quale bisogna impegnarsi a dare una risposta per quanto possibile positiva. Ma altrettanto importante è ricordarsi che la cultura dell’emergenza deve essere sostituita dall’emergenza della cultura. Affinché  questa domanda riguardi un numero sempre minore di persone.
Dott. Silvio Rossi
Presidente Associazione Kriterion

martedì 21 febbraio 2012

A volte ricantano...



Va bene, lasciamo perdere San Remo. Eppure non si può lasciar perdere San Remo. Evitiamo di parlare di San Remo. Non possiamo tacere di San Remo. E intanto che decidiamo, San Remo comunque ci occupa la mente. Perchè?
Perchè San Remo, per la televisione italiana, è un pò come il doppio legame per le relazioni interpersonali: un meccanismo patologico.
Il doppio legame è quel tipo di comunicazione che è vera e falsa allo stesso tempo, che afferma e nega allo stesso tempo, che crea una relazione ambigua dalla quale non si può uscire pur volendo, che produce devastazioni psichiche. Ditemi se non è il ritratto di San Remo! Il Festival è una gara tra canzoni, ma è anche un bluff clamoroso in cui le canzoni (imposte a prescindere dalla qualità) non contano nulla, conta la cornice. San Remo propone argomeni seri, ma in un contesto che nega la loro serietà. San Remo è ambiguo, nel senso che pretende di coivolgere per una settimana e più un intero paese con delle minchiate inguardabili, ci fa dire che sono delle minchiate, ma nonostante tutto ne parliamo come se fossero delle questioni di vita o di morte. A pensarci bene, se uno cerca la musica buona, la trova fuori da San Remo: se uno vuole ammirare le donne ci sono mille occasioni fuori da  San Remo: se ci si vuole divertire, ci sono tanti programmi comici fuori da San Remo; se si vuole riflettere su argomenti seri non mancano le opportunità fuori San Remo. Qualsiasi cosa è migliore, fuori da San Remo. Eppure, tutti, anche quelli che non hanno visto una puntata, incontrandosi il lunedì dopo la finale devono fare un commento su qualche gaffe, o qualche polemica, o qualche smutandata sanremese. Siamo prigionieri, tutti sulla stessa barca, che procede a colpi di remo. Anzi, di San Remo. Poveri noi.

venerdì 17 febbraio 2012

"Ecco, La musica è finita...

... Gli amici se ne vanno, che inutile serata, amore mio..." meravigliosa canzone di Ornella Vanoni.
Sembra il ritratto di San Remo 62a edizione. Uno sfacelo totale, a mio parere. Presentatori che non sanno mettere in fila due parole, vallette che non sanno mettere in fila due vertebre, cantanti che non sanno mettere in armonia due note, Celentano che non sa. Punto. A proposito, qui c'è un articoletto che è andato a fare le pulci ai risparmiucci del cantante che fa la predica agli altri (senza che nessuno glielo abbia chiesto). La situazione è risultata talmente fuori controllo che pure l'apposito pallottoliere dell'aposita società per l'apposita votazione è appositamente franato.
Le canzoni, visto che fino a prova contraria sempre di festival della canzone si tratta, sono inascoltabili. Noia mortale, motivetti insulsi, vecchie cariatidi e giovani scimmie urlatrici. Applausi su comando, pianti per necessità. Ieri sera un brivido: Patti Smith. E' riuscita ad emozionare nonostante la presenza minacciosa del concorrente di San Remo vicino a lei. Straordinaria (ascolta e sogna).
E poi, ecco, la musica è finita. Per fortuna.

mercoledì 8 febbraio 2012

A lume di naso...

...la teoria evoluzionista è una balla grande come una casa. Anche se i nostri figli sui loro libri di scuola continuano a leggere di evoluzionismo come se fosse un dogma rivelato, a mio modesto (e ignorante) parere si tratta di una favoletta ascientifica oscurantista tenuta su con lo scotch.
Ogni volta che mi giro e mi guardo attorno mi trovo ad ammirare una tale perfezione di progettualità che la teoria della selezione naturale mi sembra partorita dopo una nottata all'Ocktober Fest.
Leggo che in giro per il mondo ci sono moltissimi scienziati che ormai ridicolizzano e demoliscono le varie posizioni evoluzioniste. Ma in Italia, dove siamo i primi ad assorbire gli errori, siamo sempre gli ultimi a recepire le correzioni.
Mi permetto di suggerire qualche utile lettura controcorrente in proposito, per esempio i lavori di Giuseppe Semonti o il recente "la Disfatta dell'evoluzionismo" di Maurizio Blondet.
Dice: "Ma con tutti i problemi che ci sono oggi, perchè devo perdere tempo con questa roba?".
Già, forse è vero che discendiamo dalle scimmie...

venerdì 3 febbraio 2012

Nebbia sui Monti


Il capo del Governo Monti ha offeso profondamente gli italiani con una evidente presa in giro. Ma siccome è Monti, cioè un non-eletto dal popolo, ma imposto dai poteri forti, un non-politico, ma un rappresentante della finanza mondiale, un non-democratico, perché impone e dispone a suo piacimento, pochissimi hanno fiatato. La solita vigliaccheria italiana, che lapida i deboli e plaude ai potenti.

Il Monti ci ha offesi affermando che non solo i giovani si devono scordare il posto fisso, ma  - aggiungendo al danno la beffa - che il posto fisso è noioso.

Innanzitutto dobbiamo ricordare  che se il posto fisso ormai è un sogno per pochi, non è una fatalità, ma una precisa conseguenza di scelte economico/finanziarie che gli amici internazionali di Monti e i padri degli amici internazionali di Monti hanno operato nei decenni scorsi. Qualche maligno direbbe per precisa volontà di indebolire il tessuto sociale e rendere le persone più fragili e più ricattabili. Ma io non sono maligno.
I soli posti fissi amati da Mario Monti

In secondo luogo, il problema non è il posto fisso, perché semmai quello è il problema dei signori al potere, che occupano buona parte del loro tempo a difendere la loro posizione di privilegio. La questione è che una persona ha bisogno di una stabilità nella vita, sia dal punto di vista delle relazioni affettive, sia da quello di una continuità del lavoro e del reddito. Per una serie di motivi che al Banchiere sfuggono:
1. C'è il tempo dell'apprendimento e il tempo della messa in pratica. Non si finisce mai di perfezionarsi, ma all'interno di un ruolo ormai stabilito. Costringere a rinnovarsi continuamente in nuovi ruoli e situazioni può essere una necessità, ma certo non una scelta auspicabile o sana.
2. Per fare qualsiasi progetto, grande o modesto che sia, occorre muoversi in un mondo ragionevolmente prevedibile. Altrimenti si è costretti a scegliere tra una continua roulette russa, o la totale immobilità.
3. Cambiare continuamente lavoro - benché sia comunque una pena e non un vantaggio - richiederebbe comunque alcune condizioni che in Italia non esistono. Ovvero degli ottimi ammortizzatori sociali - per far fronte ai periodi di magra - e  un'abbondante offerta lavorativa.
4. La prospettiva di mutamento del lavoro va assolutamente contro l'istituzione familiare, per la conseguente continua necessità di cambiare casa, di spostarsi di scuola, di togliere tempo alla famiglia in nome dell'aggiornamento continuo e della ricerca di nuovi lavori, per la difficoltà ad avere un mutuo per acquistare casa, per lo stress di continui adattamenti, ecc.
L’unica cosa sensata che Monti avrebbe dovuto dire era: “Scusateci, se con la nostra miopia abbiamo costretto moltissimi giovani e padri e madri di famiglia a non poter avere un lavoro stabile e dignitoso. Per adesso la cosa migliore che possiamo fare è una serie di misure per aumentare i posti di lavoro, ma senza poter dare il conforto di una stabilità. Questo però è il nostro obiettivo per gli anni a venire, affinché chi vuole possa sposarsi e  mettere su famiglia con fiducia. Ma sulla cima del Monti c’è troppa nebbia per vedere i problemi della gente comune, Lui ha lo sguardo illuminato che va verso il cielo, mentre noi sudiamo sulla nuda terra.



mercoledì 1 febbraio 2012

Quanto dura una psicoterapia?

Questa è una domanda posta da molte persone, e allora cercherò di rispondere per chiarire i dubbi più comuni:

1. Nella psicoterapia psicoanalitica (ne accenno perchè diverse persone sentono parlare di questo tipo di psicoterapia), almeno da un punto di vista teorico  la durata potrebbe essere infinita. Infatti una volta che inizia la psicoterapia, il paziente viene sottoposto ad una analisi, ciò che emerge viene ancora analizzato, i risultati vengono ancora analizzati, e così via... in un processo che potrebbe non finire mai. Non sono frequenti, ma nemmeno rarissimi, i casi  di persone che per tutta la vita si sottopongono alla psicanalisi, anche più volte a settimana. In realtà, nel mondo psicanalitico ora ci sono  numerose visioni diverse, e molti terapeuti di questi orientamenti lavorano in maniera più mirata. Comunque, anche se qualche interessante realtà di psicoanalisi breve esiste, generalmente la psicoterapia psicoanalitica richiede tempi lunghi. Essenzialmente perchè la psicanalisi non lavora su obiettivi definiti, ma sullo studio di tutta la vita inconscia del paziente.

2. Per quanto riguarda la maggioranza degli altri orientamenti, la durata di una psicoterapia è legata al raggiungimento degli obiettivi stabiliti con il paziente. Generalmente il paziente presenta al terapeuta una o l'altra di queste richieste: o superare alcune difficoltà specifiche (attacchi di panico, la paura di confrontarsi con gli altri, la crisi di coppia, ecc.) o migliorare genericamente il proprio stato d'animo (sentirsi meglio, non essere triste, dare un senso alla propria vita, ecc,). Di norma le problematiche specifiche, quelle del primo gruppo, se innestate su una personalità comunque integra, su una storia familiare sufficientemente solida e coesa, su una buona capacità autocritica, su un livello intellettivo nella norma, hanno ottime probabilità di essere affrontate bene e in tempi abbastanza rapidi. Le problematiche del secondo gruppo, invece, richiedono per lo più un'elaborazione maggiormente complessa, spesso hanno alle spalle una storia personale più tormentata, occorre lavorare su livelli più profondi e articolati, è lecito aspettarsi una durata terapeutica più lunga, dovendo anche prevedere una ristrutturazione di equilibri e il conseguene riadattamentto e consolidamento.

3. Due elementi sono fondamentali per farsi un'idea della maggiore o minore durata. Uno appartiene al paziente, uno al suo ambiente. Possiamo dire che il tempo della terapia è inversamente proporzionale alla capacità autocritica e alla disponibilità di mettersi in gioco, e direttamente proporzionale al grado di compromissione del tessuto della sua famiglia d'origine. In altre parole, più il paziente ha coscienza delle sue difficoltà ed è disposto ad affrontarle, meno durerà la terapia, più la famiglia d'origine del paziente è compromessa e patologica più durerà la terapia.

4. Un discorso a parte meritano i problemi di dipendenza, su cui occorrerebbe discutere a lungo, ma non è questo il momento. Sono problemi difficili da affrontare, richiedono spesso ua approccio multidisciplinare, hanno un rischio elevatissimo di ricadute, implicano una ristrutturazione completa dello stile di vita.

Altre info in Psykoguida su psykenet.it








5. In termini quantitativi, per dare un'idea che ammette però numerose eccezioni, possiamo dire che la durata minima di una psicoterapia propriamente detta non possa scendere sotto i 2/3 mesi (con cadenza settimanale). Una durata media si può attestare intorno ai 12/18 mesi, una durata lunga dai 2 ai 3-4 anni.
Ci sono alcuni terapeuti, provenienti soprattutto da certi approcci meno tradizionali, che parlano di terapie anche più brevi di due mesi, ma di fatto si tratta di interventi focalizzati su situazioi circoscritte e di fatto poco frequenti. Ci sono poi le terapie che possono arrivare a dieci, quindici anni, ma è tutto da dimostare che il moltiplicarsi della durata garantisca una migliore soluzione dei problemi posti dal paziente, anzi.

6. Il comportamento corretto dello psicoterapeuta quale dev'essere? Innanzitutto è necessaria una valutazione seria del problema. Quando si ha un quadro il più possibile esaustivo, pur con tutte le limitazioni e l'imprevedibilità dei fatti umani, il professionista deve concordare con il paziente gli obiettivi terapeutici e un progetto di massima, mettendo bene in chiaro l'impossibilità di prevedere la durata effettiva della terapia, ma ricordando altresì al paziente la sua libertà di interrompere la terapia in qualsiasi momento se non trovasse nella terapia l'aiuto che cerca.

01/02/2012 Tutti i diritti riservati: Silvio Rossi -Roma

Per ulteriori informazioni o per un colloquio di conoscenza è possibile contattarci a: PSYKENET@EMAIL.IT