lunedì 25 aprile 2016

Faccio come mi pare (la furbetta)

Mi è capitato di sostare un attimo davanti alla televisione in un momento in cui c'era la moglie di Rutelli, la Palombelli. L'ho vista alla postazione di comando di Forum, quel programma in cui la gente litiga in una specie di aula di tribunale-pollaio chiedendo poi al giudice chi ha ragione e chi ha torto. Non so bene come nè perchè, ma la discussione sulla questione specifica, che riguardava un appartamento conteso, è scivolata sull'evidente volgarità di abbigliamento delle litiganti. La Palombelli, assumendo un tono da pontefice del femminismo cercando di mantenere una sorta di dignitoso distacco, urlicchiava: "Io da giovane, le mie battaglie per vestirmi come mi pare, andando contro quello che diceva mio padre, i fratelli, gli uomini... le ho fatte... ognuno ha diritto a vestirsi come gli pare!). In realtà la Palombelli non veste affatto come le pare, ma tutte le volte che mi capita di vederla è sempre elegantisima e alla moda, firmata e in perfetto Radical-Chic-Style, come il politicamente corretto comanda. E inoltre è abbastanza ridicola nel suo slancio critico verso gli uomini.  A meno che gli uomini contro cui andare sìano per la signora quelli poco potenti che non aiutano a far carriera e a raggiungere salotti buoni...
Palombelli in Rutelli
Comunque la riflessione che mi veniva in mente di fronte alle esternazioni dell'intellettualessa era molto più terra terra: sì, ognuno è libero di fare e impostare la propria vita come gli pare, ma deve avere il coraggio di accettarne anche le conseguenze. Se mi va, posso portare un rolex d'oro e girare di notte in un quartiere malfamato, ma se poi mi rapinano non devo lamentarmi. Se mi va, posso passare la mia giovinezza a divertirmi, ma se poi mi ricordo che voglio un figlio quando il mio fisico è invecchiato e usurato, non posso incolpare il cielo o pretendere di comprare un figlio al laboratorio. Se mi va, posso mettere gonne girocollo e scollature ombelicali, ma se poi qualcuno equivocando mi tratta da... Saluti alla Palombelli in Rutelli.
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«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

mercoledì 20 aprile 2016

Vecchie carriole e infinite capriole

 Ho il piacere di farvi conoscere un bellissimo articolo scritto da un giornalista di nicchia, assai contestato, ma che talvolta ci da - ome in questo caso - grandi soddisfazioni. E' il riconoscimento di un fallimento (almeno apparente) e allo stesso tempo è una descrizione precisissima in poche battute della storia del nostro paese attraverso le capriole spudorate fatte dai "migliori":


Confessione di un intellettuale: sono del tutto inutile

Mentre  ripercorro  nel libro di Gianantonio Valli “Giudeobolscevismo”  i crimini e le atrocità inenarrabili del comunismo – in gran parte fatti a  me noti – mi sorprendo a ripensare alla inutilità della mia vita di giornalista-intellettuale anticomunista.  Per quanti decenni  io ho (con altri, migliori di me) combattuto il comunismo   diffondendo informazioni  sui suoi delitti? Almeno tre.  Per trenta o quarant’anni abbiamo lottato, in eletta minoranza,  contro la filosofia – ideologia  –  marxleninista,  ne abbiamo mostrato la fallacia, l’abbiamo combattuta sul piano delle idee del pensiero;  abbiamo dibattuto, pubblicato libri, articoli: tutto inutile.
Inutile. I comunisti italiani  – un buon 30% della popolazione  votava PCI e un altro 10%  i partiti più a sinistra, più totalitari  – restavano ermeticamente chiusi nella loro fede, inconcussi, refrattari ai nostri argomenti, idee, informazioni che  provavano il fallimento del sistema che ardevano di portare  anche in Italia. Più impressionanti erano gli intellettuali: all’80 per cento almeno simpatizzanti per il totalitarismo rosso. Esaltavano Fidel, sventolavano il Libretto Rosso  di Mao.  Occupavano cattedre universitarie, giornali, tv, case editrici; l’ intero “mondo della cultura” era in mano loro;  l’orribile Piccolo Teatro di Strehler  era il luogo dove la potente Cgil precettava  lavoratori pagando il biglietto perché “le masse” potessero abbeverarsi al verbo brechtiano (e salvassero Strehler dalle poltrone vuote).
Giornalisti, intellettuali, attori e professori  usavano continuamente e  con sciolta competenza  la terminologia e le categorie marxiste, adottavano pienamente ed esclusivamente il materialismo storico come mezzo d’interpretazione del mondo. Nelle  università celebri (allora) docenti  sfondavano noi studenti con esegesi infinite de Il Capitale, dei Grundrisse, di “Che Fare?” di Vladmir Ulianov Lenin, come nel Medio Evo  ci si applicava all’esegesi del Vangelo o di Aristotile: Ipse Dixit.  Credo che i giovani oggi, diciamo i trentenni, non possano nemmeno immaginare come dominasse e trionfasse, nella cultura italiana, il pensiero unico comunista.
E come noi, la minoranza intellettualmente antagonista, venisse censurata, derisa, aggredita –  anche fisicamente – ed esclusa dai centri di diffusione della cultura, Occupavano tutto lo spazio. Nemmeno l’uscita di Arcipelago GuLag di Solgenitsyn –  la piena, documentata e non smentibile rivelazione dell’universo concentrazionario sovietico –   li scosse;  si rifiutavano di leggere “quel reazionario, quel cristiano fascista” –  allo stesso modo in cui l’Aristotelico canzonato da Galileo si rifiutava di guardare nel cannocchiale. Nei salotti, gli intellettuali “à la page” si vantavano di non averlo letto. Il sistema culturale riuscì persino a ritardarne la pubblicazione in Italia di qualche anno, se ben ricordo.
Monolitico, inattaccabile,  ci appariva ed era il Comunismo.  E di colpo,  un giorno è scomparso.
Puf! Sparito.  Volatilizzato.

Da Stalin a  Rockefeller – via Bronfman

E ovviamente, non perché  i suoi adepti siano stati  convinti dalle nostre idee e toccati dalle nostre battaglie  filosofiche.  No, noi non possiamo affatto vantarci di aver vinto il comunismo  coi nostri articoli e informazioni documentate. Non abbiamo convertito nemmeno uno di loro. Che cosa è stato, allora? Ovviamente, il collasso del sistema sovietico.  Ma questo non basta a spiegare la rapidità e spigliatezza  con cui intere legioni di politici, scrittori, teatranti, cinematografari e ideologi hanno dismesso  l’habitus marxista e tutto il bagaglio di convinzioni e studi su cui avevano centrato la vita, il loro prestigio e costruito la loro carriera, per trenta o quarant’anni.  Voglio dire: il crollo del comunismo sovietico è stato una immane tragedia (come ha ben detto Putin); ma appunto  per questo, uno si sarebbe aspettato, da parte di quelli, un minimo di elaborazione del lutto, segni di smarrimento e di dolore; dopotutto, fra loro c’erano molti  che a suo tempo avevano pianto per la morte di Stalin.

Comunisti a Washington, 1989
Comunisti a Washington, 1989
Ma quale lutto. Ricordo ancora con ammirato stupore la disinvolta  velocità con cui Achille Occhetto, capo dell’allora più grosso  partito comunista d’Occidente, si  recò in visita dal miliardario ‘canadese’ Edgar Bronfman capo del Congresso Ebraico mondiale, per fare sdoganare sé  e il PCI presso i poteri del capitalismo globale. Bronfman, che oltre che padrone della Seagram (Whisky) era anche insignito dal regime della Germania Est della massima onorificenza comunista, la Stella dell’amicizia dei Popoli, aveva già  reso lo stesso servizio a Gorbaciov;  poche ore dopo  l’incontro col miliardario ebreo  – maggio 1989 –  Occhetto si incontrò (cito da Repubblica)  “con David Rockefeller”, fu intervistato dai “ due maggiori quotidiani Usa: il Washingon  Post e il New York Times”,  rese omaggio “al cimitero di Harlington, dove riposano i fratelli Kennedy, e al monumento ai caduti del Vietnam”, e poi fu impegnato in “una fitta serie di colloqui con esponenti del Congresso” Usa. Tenne anche “conferenze pubbliche al Carnegie Endowment for Peace di Washington, e  al Council on Foreign Relations”.  Penso sia inutile precisare che in quel fruttuoso viaggio, Occhetto fu accompagnato da un solo altro esponente del comunismo: Giorgio Napolitano. Ne uscì, lui e il partito,  candeggiato e  legittimato a prendere il potere in Italia al posto della DC: ovviamente dopo libere elezioni.  Aiutato, è vero,  dalla valorosa magistratura che, con geometrica sincronicità, gli spazzò via  i partiti potenzialmente concorrenti, la DC di Andreotti e Forlani e il Psi di Craxi  con la leggendaria operazione “Mani Pulite”.
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/05/16/la-missione-di-occhetto.html
Fu il più  acrobatico e ammirevole salto sul carro del vincitore cui abbia assistito nella mia vita. Abbandonata la classe operaia alla grandine della globalizzazione e alla concorrenza dei salari cinesi messicani, romeni –  la deindustrializzazione, il massacro salariale del ‘proletariato’ – , il PCI si dedicò a difendere “minoranze oppresse” più comode:  i finocchi,  e i parassiti pubblici, anzitutto.  Ma il punto veramente stupefacente fu il nuovo atteggiamento dei  dirigenti e della “cultura di sinistra” al completo: il comunismo e la sua storia di sangue e di gloria, non li riguardava più. I suoi delitti, i milioni di morti –   crimini che i dirigenti PCI e i suoi intellettuali organici avevano giustificato, anzi  rivendicato  come necessari passi della “dittatura del proletariato” nell’avanzata   verso la  “società senza classi” in   mezzo secolo di dibattiti e scontri dialettici (e fisici)  con noi anticomunisti  – non avevano più niente a che fare con loro.  Da allora, a nessuno di essi è mai capitato di usare il linguaggio marxiano: ed è gente che per anni ha frequentato la “scuola di formazione politica alle Frattocchie”,  dove di quel linguaggio, e di quella filosofia si veniva imbevuti.  Erano diventati un foglio bianco.  A me è capitato di citare Marx, di difendere la sua critica al capitalismo globale (una pars destruens veramente profetica); a loro, mai. D’Alema bombardava l’antico compagno Milosevic con  la NATO, e  si comprava lo yacht da regate da un paio di miliardi di lire, come se mai avesse letto la sardonica frase di Karl sul “modo di esistenza che crea la coscienza” (traduco: chi vive da ricco, pensa e giudica da ricco  e difende il  sistema sociale anche più ingiusto, perché  lo sente naturale e meritevole). E Walter Veltroni?   “Mai stato comunista”,   disse. Ed era iscritto al Pci dall’età di 14 anni. Credeva d’essersi iscritto ad una bocciofila.

Mai le idee hanno avuto un ruolo

Arcipelago Gulag
Insisto, per i lettori più giovani: mai in questa metamorfosi è stata questione di “idee”. Di revisione di idee sbagliate, di riconoscimento di idee vere e giuste. Mai. Le idee sono semplicemente state abbandonate,  come si abbandona  un vestito fuori moda. Come i pantaloni a zampa d’elefante, il marxismo-leninismo “non si portava più”.
Il fenomeno, più che nei politici, fu sbalorditivo negli intellettuali, quelli che  vivevano di idee, e di “quelle” idee  – o almeno così credevamo noi.  Fu chiarissimo che quelle idee le avevano sostenute finché aiutavano alla carriera. Peggio: noi anticomunisti dovemmo constatare che gli avversari intellettuali avevano seguito, massicciamente, “la moda”.  Per anni ed anni, essere comunisti o compagni di strada, è stato di moda.  Era “attuale” e moderno, faceva stile essere rosso. Era “la tendenza del momento” per cui si veniva invitati nelle tv, a scrivere opinioni sui grandi giornali,  nei salotti buoni, negli ambienti che contano, e nelle direzioni mediatiche potenti.  Di colpo, con sicuro istinto, gli intellettuali di sinistra  sentirono che il marxismo non “non è più in voga”; e mai si son fatti   cogliere, da allora,  a portare una cosa così vecchio stile, così  poco fine, come il “socialismo reale”; quello “sovietico” poi,  figurarsi.
S’intende che sono rimasti di moda, adottando le mode sociali della sinistra “attuale”: non più quella totalitaria (su cui avevano giurato, e che volevano imporre al Paese), ma quella libertaria.  Radical-chic.  Sessantottina.  Edonista.  Paolo Mieli, allora direttore del Corriere, indicò la strada:con  articoli che proclamavano “il ritorno al Privato”.  Prima, era stato di moda il contrario: “Il Privato è politico”, “Tutto è politica”,  la ”rivoluzione sociale, il collettivismo” richiedevano il sacrificio di ogni intimità. Adesso, contrordine compagni: tornate al privato. Agli amori, agli ed alle amanti dei vari sessi, alle regate, alle  cene sulle terrazze romane immortalate da Ettore Scola,   alle vacanze intelligenti fra “noi che siamo à la page”. I Vip Non aspettavano altro, gli intellettuali rossi.

Augusto del Noce, amico e maestro
Augusto del Noce, amico e maestro
S’intende che noi anticomunisti, non  siamo divenuti di moda. Mai. Eravamo fuori moda quando denunciavamo  che i milioni di morti  erano prodotti di un sistema politico-ideologico radicalmente sbagliato, che aveva idee  errate sull’uomo e la natura;  siamo rimasti fuori moda anche dopo che il crollo del socialismo  sovietico e quello maoista dava ragione alle nostre idee. Siamo rimasti la minoranza “noiosa”, passatista, “reazionaria” e peggio “clerico-fascista” di  prima.   Da questi insulti era chiaro il vero motivo per cui non ci invitavano nelle terrazze romane immortalate da Scola: ai loro occhi,  vestivamo gli abiti di una moda passata da un secolo, forse da secoli.  I secoli di quel passato in cui ciò che importavano, erano i concetti di “vero” e di “falso”, non di “attuale e inattuale”.
Non che, personalmente, me ne lamenti. Essere eternamente “inattuale” e fuori moda è il destino che ho scelto, perché per me è insopportabile “vivere nella menzogna” (come diceva Solgenitsyn).  So che in questo sono in migliore compagnia di quella che si spartisce i posti nei salotti e nelle terrazze, e mi rallegro dei pochi amici  e di qualche lettore che condivide la stessa passione.



«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

martedì 19 aprile 2016

Latte materno, meraviglia delle meraviglie per chi vuol vedere


 Riporto un pezzo uscito sull'Ansa dedicato a ricerche sul latte materno. Io, che in fondo rimango un ingenuo, mi domando come possano esistere scienziati talmente ottusi da sostenere ancora l'evoluzionismo quando basta affacciarsi sulla natura per capire che simili perfezioni non si possono spiegare con le baggianate indimostrabili dei seguaci di Darwin:

Il latte umano, unico nel regno animale
Il latte umano, unico nel regno animaleIl latte umano è unico nel regno animale. Con i suoi oltre 200 tipi di zuccheri, il doppio rispetto a quello del latte di mucca, è il più complesso tra quello di tutti i mammiferi. Tanto che capire il ruolo di tutte queste molecole e i loro cambiamenti è ancora un rompicapo scientifico per i ricercatori. A fare il punto su ciò che si sa e non si sa è la revisione di diversi studi, pubblicata dai ricercatori dell'università di Zurigo sulla rivista Trends in Biochemical Sciences.
Il latte materno è spesso il primo alimento che si consuma, ma molte delle sue molecole di zucchero non servono a nutrire il bambino. I neonati nascono privi di qualsiasi batterio nell'intestino, ma già a pochi giorni dalla nascita ne hanno milioni, e una settimana dopo miliardi. Gli zuccheri del latte materno sono il primo composto di cui si nutrono questi batteri. ''Il primo impatto del latte materno è favorire la colonizzazione dell'intestino da specifici gruppi di batteri che possono digerire queste molecole di zucchero.
I neonati non hanno 'l'attrezzatura' per digerirle'', spiega Thierry Hennet, coautore dello studio. Il latte materno aiuta anche a costruire il sistema immunitario del bambino. Già dopo la nascita è ricco di anticorpi e le sue molecole rallentano la crescita di batteri pericolosi, coordinando l'attività delle cellule dei globuli bianchi. A un mese dalla nascita, quando il bambino inizia a sviluppare un sistema immunitario suo capace di adattarsi, la composizione del latte cambia, e il livello di anticorpi materni si riduce di oltre il 90%, così come cala la diversità delle sue molecole di zucchero, mentre aumenta il numero di grassi e di altri nutrienti che sostengono la crescita...

 Quando leggo queste cose e poi devo sentire che oltre agli scienziati ancora pro-evoluzionismo ci sono politici omosessuali che vanno in America a comprarsi un figlio strappato alla madre che ha affittato l'utero, ho pietà per la mia epoca...

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

venerdì 15 aprile 2016

Si spengono pure gli "illuminati"

Casaleggio, appassionato del mago Gurdjieff, seguace di esoterismo, gnostico e visionario. Profeta di un futuro in mano ad una piccola elite di sapienti della religione universale dominanti su un gregge di dormienti, ecc. ecc. Insomma, un poveraccio.

Casaleggio è stato un uomo molto intelligente, che ha usato male la sua ntelligenza; conoscitore di internet come pochi, manovratore di opinioni, utilizzatore di Grillo gestendo il quale ha cercato di realizzare il suo sogno di un'umanità democraticizzata a suo piacere e quindi controllata e dominata. Viene in mente l'America, portatrice sana di democrazia... E in effetti Casaleggio non è stato lontano dai salotti del potere americano con il quale si è inteso e scambiato più di un bacino.
Ora, in braccio a Gaia, la sua dea presa a prestito dai miti gnostici, non tira più fili e persone. Se gli è permesso, riposi in pace.
Per chi vuole sapere chi fosse davvero Casaleggio Gianroberto questo è un gran bell'articolo: Link

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

martedì 12 aprile 2016

Misericordia, usi e abusi

E' un periodo in cui non si fa altro che parlare di misericordia, soprattutto in ambito ecclesiale.  Ma a volte abbiamo l'impressione che la misericordia venga ridotta ad un buonismo politicamente corretto, cioè al rifiuto di distinguere il bene dal male, ad un atteggiamento indifferenziato di scusare ogni cosa senza fare nemmeno lo sforzo di capire che cosa stiamo scusando. 
 Molti accettano tutto senza fare lo sforzo di evidenziare il male che stanno accettando. Facendo così si sentono misericordiosi, e sentendosi misericordiosi si sentono a loro volta perdonati prima ancora di conoscere il loro errore. 
La misericordia si può ammalare di buonismo tutte le volte che manca di verità.  E verità  è ciò che è. Se un genitore perdona un figlio "a prescindere", a prescindere cioè da
un'opera di educazione,  di  chiarificazione dello sbaglio, di un'assunzione di responsabilità,  questa è veramente misericordia?  Va bene che non si richiede che chi ha sbagliato raggiunga subito una piena consapevolezza,  lasciamo stare lacrime di pentimento, passiamo sopra sulla richiesta di scuse... Ma quanto meno si chiede che chi ha sbagliato si renda conto che quello che ha fatto è una cosa che gli ha portato dei danni,  che ha sbagliato scelta.  Perdonare chi ha gli occhi chiusi non è un atto nè misericordioso nè intelligente, ma più probabilmente un inganno.  La prima misericordia è istruire e formare alla verità,  chiamare bene il bene e male il male. Senza sconti. 

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

martedì 5 aprile 2016

Le mille facce della Psicoterapia

 La Psicoterapia è una scienza, una tecnica, un'arte?

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

sabato 2 aprile 2016

PSICOLOGI SENZA VOCE?


 Riporto integralmente un interessante articolo dello Psichiatra Cantelmi pubblicato su Avvenire del 2aprile. Tutto da leggere:

OMOGENITORIALITA', LIBERI DI DISSENTIRE?


 La vicenda degli psicologi «zittiti» dai loro Ordini sul gender. La notizia: un certo numero di psicologi ha subìto o sta subendo procedimenti disciplinari dal proprio Ordine perché hanno espresso opinioni difformi sul tema del gender e dell’omogenitorialità e dintorni. Potrei entrare nel dettaglio per ogni singolo procedimento, ma nel complesso mi sembra di poter sostenere che i vari Ordini regionali degli psicologi si siano piegati al clima dominante. Lo sappiamo tutti: oggi le associazioni Lgbt possono far dimettere un politico, licenziare un manager, boicottare un’industria e rovinare la carriera di un ricercatore, ma questo non dovrebbe impedire la libertà di ricerca scientifica, il dibattito, il confronto delle opinioni.


E non dovrebbe neanche condizionare l’operato di un Ordine professionale. A proposito di gender theory: l’American College of Pediatricians il 21 marzo 2016 ha pubblicato un documento dal titolo eloquente: Gender Ideology Harms Children («L’ideologia gender danneggia i bambini»). Intanto pongo alcuni dubbi: può un Ordine stabilire, come se fosse legge, che la teoria gender non esiste e ritenere questa opinione definitiva obbligando i suoi iscritti ad aderirvi acriticamente? E quando mai nella scienza qualcosa è definitivo e non discutibile? L’Ordine è una società scientifica che stabilisce protocolli, valida terapie e decide di temi scientifici, oppure ha altri e molto importanti compiti? E soprattutto può ritenere definitivo e indiscutibile un suo documento che tocca temi come i gender studies? E infine può 'usare' se stesso per prendere posizione in un dibattito che è politico?


In questo contesto di evidente parzialità può con imparzialità giudicare non la condotta deontologica di uno psicologo nell’esercizio della sua professione ma addirittura le sue affermazioni, legittime e libere, in un dibattito pubblico? A mio parere è un gran pasticcio, ma la faccenda è grave: sembra quasi che uno psicologo oggi non sia un cittadino libero di esprimere le sue opinioni, e soprattutto non sia un ricercatore libero di mettere in discussione alcuni temi sui quali l’Ordine ritiene di aver espresso un giudizio inappellabile A onor del vero alcuni procedimenti, peraltro iniziati sulla base di esposti copia-incolla chiaramente strumentali, si sono risolti in una bolla di sapone: lo psicologo aveva pienamente diritto di dire la sua opinione e la commissione deontologica lo ha riconosciuto. Ma l’intimidazione esercitata dagli autori degli esposti è riuscita perfettamente. Quello stesso psicologo, per certo, si sottrarrà a ulteriori dibattiti.


È comunque un vulnus della libertà. Ovviamente confido nella capacità delle commissioni deontologiche di colpire non lo psicologo vittima della strumentale accusa ma gli accusatori in malafede. Prendiamo la questione delle adozioni da parte di coppie omogenitoriali. L’Ordine degli psicologi del Lazio, peraltro guidato da un presidente molto capace e attivo, sostiene che la questione sia scientificamente risolta e invia ai senatori un dossier – a suo dire autorevole e certo – che dimostrerebbe, studi alla mano, che non c’è alcun dubbio: i bambini cresciuti in famiglie omogenitoriali non hanno alcun problema. E se uno psicologo dicesse il contrario? Potrebbe rischiare il procedimento disciplinare.


Ebbene, io non la penso così. A essere onesti, esaminando tutta la letteratura scientifica sul tema, emerge che la maggior parte delle affermazioni oggi circolanti siano imprudenti perché la maggior parte degli studi sono stati condotti con modalità sbagliate, metodologie non sempre corrette e conclusioni azzardate. In definitiva, sulla base della letteratura scientifica l’unica affermazione corretta a mio parere è questa: non è possibile affermare che la letteratura scientifica si sia pronunciata in modo chiaro, univoco e definitivo, e non è possibile affermare con certezza che lo sviluppo di bambini cresciuti in contesti omogenitoriali sia equivalente a quello dei bambini cresciuti in famiglie eterosessuali.


L’altro dato è questo: gli studi (anche questi altrettanto non univoci e dalla metodologia a volte incerta), che viceversa dimostrano addirittura che i bimbi cresciuti in contesti omogenitoriali abbiano più problemi di quelli cresciuti in famiglie eterosessuali, sono stati puntualmente accusati di omofobia e i loro autori hanno subìto gravi danni alla loro carriera, prima che la comunità scientifica correggesse il tiro e ne riconoscesse la validità. Quindi penso si possa sostenere che finché non ci saranno argomentazioni solide e coerenti sarebbe giusto che non venisse assunta alcuna decisione tale da modificare la situazione familiare attuale, in nome di un principio di prudenza che rispetti l’articolo 3 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Onu, nel quale è scritto che «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche, (...) delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente».


Bene: se fossi psicologo e affermassi questo in un pubblico dibattito, e alla luce di questo esprimessi opinioni avverse a quanto affermato dall’Ordine degli psicologi del Lazio, e un paio di psicologi presentassero un esposto (più o meno è successo così in altre parti), l’Ordine che diritto avrebbe di aprire un procedimento disciplinare? Non sarebbe piuttosto una limitazione (grave) della libertà e un cedimento a richieste intimidatorie e strumentali dell’esposto? Ripeto: confido nella saggezza e nel buon senso delle commissioni deontologiche dei vari Ordini regionali, tuttavia ritengo che non debba essere un riflesso automatico esposto (per lo più strumentale)-procedimento disciplinare.


Tuttavia, piuttosto che scendere in campo con manipoli di avvocati e giuristi a loro volta pronti a sommergere Ordini, commissioni e accusatori di analoghe denunce, vorrei ricondurre il tema a una libera discussione, fuori dalle intimidazioni da azzeccagarbugli: sono sicuro che il presidente del Consiglio nazionale degli Ordini degli psicologi e anche i presidenti degli Ordini regionali implicati a vario titolo nella polemica vogliano accettare la proposta di un franco e leale dibattito sulla libertà degli psicologi, oggi a mio parere a rischio, restituendo loro diritto di parola, di ricerca, di critica e di opinione difforme. Link: http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/OMOGENITORIALIT-LIBERI-DI-DISSENTIRE-.aspxhttp://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/OMOGENITORIALIT-LIBERI-DI-DISSENTIRE-.aspx

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)