mercoledì 20 dicembre 2017

Perchè Spelacchio doveva vivere?

Lo confesso, mi dispiace per Spelacchio, l'albero di Natale allestito a Roma in Piazza Venezia, mi dispiace per diversi motivi: perchè è un albero montano e io ho un debole per tutto ciò che appartiene o vive in montagna; perchè è in queste piccole (relativamente) cose che si evidenzia la trascuratezza, l'inettitudine e la sciatteria di chi lavora giusto per lo stipendio a fine mese senza curarsi della qualità di quel che fa; perchè è uno dei due simboli religiosi del Natale, insieme al Presepe. Infatti l'abete è un albero sempreverde e in quanto tale è stato scelto per rappresentare Cristo che è il Vivente. Invece Spelacchio è morto. E' proprio stecchito, ridotto come un gigantesco stuzzicadenti adatto ormai solo a pulire i denti degli orchi dopo il loro sanguinolento pasto.

Ma è pur vero che l'abete di Piazza Venezia doveva morire. Non c'erano motivi perchè dovesse vivere. Perchè mettere un segno di vita in una città dove ormai si adora la morte? In questi giorni i sommi sacerdoti dell'ideologia del cadavere, (i radicali, ovviamente) hanno lanciato le loro urla di trionfo per il completamento della loro missione: dopo aver portato allo sterminio dei centinaia di migliaia di bambini con l'aborto, dopo aver provocato la strage di un numero infinito di famiglie attraverso il divorzio, dopo aver storpiato l'anima di generazioni intere facendo passare l'idea della droga "leggera", dopo aver distrutto il concetto naturale di sesso, sono arrivati anche alla legge che permetterà di liberarsi di malati e anziani ormai cestinabili dalla  la nostra società tecnologio/liberal/capitalista. Senza acqua, senza cibo, li faremo morire così, come un negretto qualsiasi dei patetici depliant raccogli-soldi dell'Unicef e degli altri enti internazionali, tanto pietosi da dare da mangiare gli africani e da togliere il cibo ai nostri nonni ammalati.

chi salme e Chi scende
Spelacchio non doveva vivere, l'eutanasia ha necessariamente colpito anche lui. Aveva compiuto il suo dovere, aveva fatto guadagnare soldi a diverse persone, ora stava lì a rubare acqua dalla pioggia e luce dal sole senza offrire nulla in cambio, perciò doveva morire. Ora per favore toglietecelo dalle palle (di Natale). Sostituitelo con due belle riproduzioni della Bonino e di Pannella. Il Natale, festa della Natività, della Vita? Ma non diciamo fesserie! Forse a casa vostra, ma entrate al Parlamento e vedrete il trionfo dei feretri e dei beccamorti, delle lapidi e dei teschi parlanti, un halloween pieno di orride figure che brindano all'ennesimo omicidio. Cosa accidenti volete: un abete sempreverde? Ma fatevi ammazzare in silenzio e senza opporre resistenza, piuttosto. Continuate a girare per i centri commerciali, spendete e state tranquilli, quando avrete finito i soldi il becchino vi aspetterà fuori la porta.

Buon Natale.

Ps. A quelli che invece amano ancora la vita umana, la ritengono sacra in ogni sua forma e condizione, non vogliono commercializzarla e usarla un tanto al chilo, rispettano ogni uomo e donna come persona degna e unica, proprio a loro e alle loro calde e allegre famiglie un augurio sincero e affettuoso di Buon Natale.
    

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

martedì 19 dicembre 2017

Comunicazione di servizio

Comunicazione di servizio:

Alla nostra Associazione Kriterion Famiglia e Persona sono arrivate delle richieste di organizzare una seconda edizione dell'evento dedicato all'arte di fare Ordine, svolta lo scorso anno a Roma (link). Ci stiamo pensando, viste le numerose iniziative già organizzate (Sportello scolastico per famiglie con bambini Bes), la "Notte Tolkien" (di cui presto parleremo) e altro ancora in cantiere. Chiediamo di farci conoscere quante persone sono interessate a partecipare (sono cinque serate) per valutare l'opportunità di replicare l'evento.

Contatti: info@associazionekriterion.it

Grazie


giovedì 7 dicembre 2017

La stupidità di voler essere diversi

Diceva Chesterton che il fatto dell'identità è il limite imposto alle cose umane (da "L'osteria volante"). Verissimo, l'identità fa sì che ogni cosa sia proprio quella e non un'altra. E che, quindi, essa possa mutare gli aspetti più accidentali, superficiali, ma non possa diventare un'altra, cioè cambiare essenza.

Tu sei tu, sei solo tu, nessuno al mondo può essere te. Puoi amarti, puoi odiarti, ma nulla ti potrà mutare da ciò che sei nella tua essenza. E' l'esaltazione della tua persona, ma nello stesso tempo è il limite che ti viene imposto dalla natura. Puoi realizzarti in modo tale da essere te stesso alla massima espressione possibile (e ci vorrà una vita per riuscirci), o potrai annichilirti, imbruttirti, mortificare le tue qualità fino ad autodistruggerti. Ma non potrai modificarti. Perchè tu sei questo, e nient'altro.

Non sempre vecchiaia porta saggezza
Oggi viviamo in un tempo che si oppone alla natura - con buona pace dgli ecologisti, dei verdi, dei vegani, e degli altri pseudo vegeto/idolatri - perchè odia di sentirsi creatura invece di Creatore. Un tempo in cui gli uomini non tollerano i limiti legati alla propria identità e pretendono di autodeterminarsi, cioè di decidere loro cosa vogliono essere, in base ai caprici, alle mode o alle emozioni del momento. E raggiungono l'apice del ridicolo e dell'orrido, perchè quando uno vuol farsi da solo diverso da quello che è riesce a produrre solo caricature grottesche e penose. 

La natura, che si esprime attraverso la biologia, la chimica, la psicologia, ecc. non si può violentare. Tu sei questo, se vuoi essere diverso ti metti contro il progetto naturale che esiste su di te, quindi ti deturpi e poi ti suicidi. Mi dispiace darti questa notizia, ma tu non sei Dio.

Sotto il tatuaggio la debolezza

















«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

lunedì 27 novembre 2017

Toglietemi tutto, ma non i miei pregiudizi

Pensi che i pregiudizi siano cose brutte, sporche e cattive? Niente di più sbagliato. Ne avevamo già parlato, ma è il caso di riprendere il discorso. 

Pre-giudizio vuol dire esattamente quello che dichiara il suo nome: giudizio preliminare, elaborato prima di verificare se tale giudizio corrisponde pienamente alla realtà. Non solo non c'è nulla di male in questo, ma il pregiudizio è prezioso, estremamente utile ed economico. Nel senso che fa risparmiare un sacco di fatica e di energia al cervello. D’altronde nulla esiste nell'uomo che non abbia un valore e una funzione; se talvolta non riusciamo a comprendere e a utilizzare tutto convenientemente il problema è nostro, nondi ciò che esiste.
Torniamo alla questione. Noi entriamo in relazione con casi particolari, mai con concetti generici. Ad esempio io mi imbatto in questo specifico peperoncino che c'è in cucina, non col concetto generale di peperoncino. Se non avessi un pregiudizio sul peperoncino in genere, cioè che pizzica se messo in bocca e spesso anche con forte piccantezza, e quindi se volessi ogni volta verificare, io dovrei assaggiare ogni peperoncino che mi capita a tiro per sentire se pizzica o no. Una perdita di tempo e praticamente un comportamento stupido. Certo potrebbe capitare, una volta su centomila, di trovare uno strano peperoncino anomalo che non pizzica proprio, ma sarebbe una stranezza, una rarità, e questa possibilità (posto che esista) comunque non mi obbliga ad assaggiare tutti i peperoncini per verificare. Ancora: io vedo questo poliziotto qui, non il concetto astratto di poliziotto. Così se mi trovo in difficoltà gli chiedo aiuto, non aspetto di chiedergli il tesserino, non mi informo della sua moralità, non verifico se sia competente, semplicemente chiedo aiuto. Perché il mio pregiudizio mi insegna che una persona vestita da poliziotto. a bordo di una macchina con la scritta "Polizia", è qualcuno da cui aspettarsi soccorso e assistenza.  Magari, una volta su centomila, quello non sarà un poliziotto vero, sarà una comparsa di una troupe cinematografica o un truffatore, ma al momento non mi pongo dubbi, ho bisogno di aiuto, chiedo aiuto alla persona più ragionevolmente adatta allo scopo.
Quindi, il pre-giudizio è una qualità del nostro cervello utile e pronta all'uso, addestrata in anni di vita grazie ad insegnamenti e ad esperienze personali. Guai a non aver pregiudizi, ogni volta dovremmo ripartire da capo a studiare il caso specifico ignorando del tutto quello che sappiamo del concetto generale.

Il pregiudizio è sempre buono? Si, se è accompagnato da una sufficiente elasticità mentale che non escluda le eccezioni. Se io, grazie a esperienze fatte, riflessioni, racconti di altri, ecc. ho costruito un pregiudizio per il quale ritengo che i pitbull siano animali pericolosi, sarei davvero incosciente a mettere la mano davanti al muso di un esemplare qualsiasi incontrato al parco. Devo ascoltare i consigli del mio pregiudizio, ma anche avere fiducia di poterlo modificare. Infatti se un amico mi dicesse che quel determinato pitbull lo conosce, sa che è buono, che è ben addestrato e che è estremamente socievole, potrei anche azzardare una carezza. Potrei imparare che il mio pregiudizio va corretto: molti pitbull sono pericolosi, ma forse dipende anche da come sono addestrati, ed è possibile incontrarne qualcuno buono. Questo esempio mostra come il problema non sia dei pregiudizi, ma della nostra rigidità o meno ad usarli. Infatti il pregiudizio è un work-in-progress, un atto cognitivo in continua evoluzione, che prima si ipotizza, poi si sperimenta, si verifica, si aggiusta, e quindi rimane sempre aperto a possibili rettifiche. È uno strumento che va costantemente affilato perché svolga al meglio il suo servizio.
Diversamente dal pregiudizio, ci sono le opinioni e le certezze. Le opinioni sono valutazioni estremamente soggettive e passeggere, su cui fare moderato affidamento, che possono essere il nucleo di futuri pregiudizi qualora ne verificassimo l’applicazione universale, ma che al momento offrono scarsa sicurezza, aiutano solo per un transitorio orientamento. Al contrario le certezze, sono quegli assunti frutto di un progressivo avvicinamento alla verità, che hanno valore assoluto e indiscutibile. Diciamo che hanno un’approssimazione al vero che arriva all’identificazione con esso. Ricordavo nel precedente post che va molto di moda la frase: “Non bisogna nascondersi dietro facili certezze”. Al di là se siano facili o meno, chi ha la fortuna di essere arrivato ad avere qualche certezza nella propria vita ci si nasconda pure dietro, anzi ci si aggrappi come una cozza si attacca allo scoglio. A quello servono le certezze, a dare sicurezza alla vita, a dare un senso e un ordine all’esistenza, ad essere dei fari per orientarsi nell’agire.


C’è un campo minato quando si parla di pregiudizi, ed è quello che riguarda le persone. Avere dei pensieri preordinati su qualcuno perché appartiene ad una determinata categoria, come ogni altro pregiudizio va incontro a possibili rischi: quello di non vedere l’unicità della persona, che può differenziarlo da tutti gli altri appartenenti alla sua categoria; quello di trascurare la libertà di scelta e possibilità di cambiamento; quello di chiuderlo in caselle predeterminate che la mortificano. Però non bisogna negare il contributo che ci può rendere un buon pregiudizio, anche applicato alle persone. Partendo dal presupposto che ogni individuo è unico, dobbiamo però ricordare che l’appartenenza sociale, etnica, culturale, familiare, sono tutti fattori che incidono molto sulla costruzione della persona e che inevitabilmente condizionano. Perciò pur con prudenza, non demonizziamo i pregiudizi, usiamoli in maniera intelligente, sottoponiamoli a verifica, ma non consideriamoli tanto negativamente. Avere un pregiudizio sui pregiudizi è il pregiudizio peggiore… 


«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

mercoledì 22 novembre 2017

La ragione, foglietto illustrativo

L'essere umano è dotato di ragione, finalizzata a conoscere la verità. Ma la ragione è uno strumento da usare, quindi non funziona autonomamente: ci vuole il desiderio di arrivare alla verità, la volontà di lavorarci con impegno, l'umiltà di accettarne i risultati. 

L'uso della ragione è un'abilità che si acquista lentamente, e non basta essere intelligenti. Infatti ci sono persone indubbiamente intelligenti, ma anche tremendamente orgogliose, che mortificano la loro intelligenza rifiutandosi di adeguarsi alla realtà evidenziata dal ragionamento. 

Un elemento che molto frequentemente interferisce con l'uso corretto della ragione è il prestare ascolto alle emozioni e ai sentimenti. La vita emozionale è una ricchezza umana, e a volte  possiamo arrivare a comprendere la verità utilizzando le intuizioni che sgorgano da questo terreno, ma questo tipo di conoscenza va sempre verificata con il ragionamento, perchè non ci sono contraddizioni di fronte alla realtà: se una cosa è vera rimane vera sia che ci si arrivi tramite un ragionamento che attraverso un'intuizione. Ma il ragionamento non ha bisogno del sostegno dell'emotività, mentre non è mai vero il contrario.  

La ragione va addestrata e praticata. E' una cosa utile fermarci di tanto in tanto a interrogarci sui nostri pensieri, se siano validi, se siano aderenti alla realtà, se siano affidabili. E' importante metterci in crisi da soli, non aver paura di verificare se certe convizioni che ci portiamo dietro siano fondate, Spesso si dice che non bisogna nascondersi dietro facili certezze. E' un consiglio giusto se queste certezze non sono provate vere, ovviamente è un consiglio da non prendere in considerazione se le certezze, valutate dalla ragione e dalla parola di maestri, si dimostrano vere. Anzi, bisogna scoprire la verità affichè le certezze che acquisiamo siano le fondamenta della vita, in una società fluida che non offre sicurezze, che è dubbiosa e traballante e nella quale dobbiamo ancorarci alla verità scoperta per non finire dispersi nel caos.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

venerdì 17 novembre 2017

Copio e incollo  con grande soddisfazione:

I pediatri americani escono allo scoperto con un documento chiarissimo, rigoroso sotto il profilo scientifico e decisamente coraggioso sul GENDER. Vi proponiamo una sintesi in italiano, un nostro commento e l’originale in inglese (pdf).
SINTESI:
  1. La sessualità umana è oggettivamente binaria: xx=femmina, XY= maschio.
  2. Nessuno è nato con un genere, tutti sono nati con un sesso.
  3. Se una persona crede di essere ciò che NON è, questa situazione è da considerare quantomeno come uno stato di confusione.
  4. La pubertà non è una malattia e gli ormoni che la bloccano possono essere pericolosi.
  5. Il 98% dei ragazzini e l’88% delle ragazzine che hanno problemi di identità di genere durante la pubertà li superano riconoscendosi nel proprio sesso dopo la pubertà.
  6. L’uso di ormoni per impersonare l’altro sesso può causare sterilità, malattie cardiache, ictus, diabete e cancro.
  7. Il tasso di suicidi tra i transessuali è 20 volte superiore a quello medio, anche nella Svezia che è tra i paesi più LGBT-favorevoli del mondo.
  8. E’ da considerarsi abuso sui minori convincere i bambini che sia normale impersonare l’altro sesso mediante ormoni o interventi chirurgici.
COMMENTO:
La “American College of Pediatricians” (seconda per importanza tra le due società americane di pediatria) prende posizione in modo chiaro, dal punto di vista medico, sulla pericolosità dell’ideologia gender e di alcune sue ricadute devastanti sulla vita dei bambini. Si tratta di un fatto molto positivo, perché finora nel conformismo generalizzato anche la classe medica su questioni di questo tipo si è perlopiù unita al coro più “alla moda” e più politicamente corretto. E’ incoraggiante trovare per una volta una affermazione (molto chiara e quasi dura) dei dati della realtà, riconoscibili da ognuno, non inquinati dall’ideologia dominante.
(Dr. med. Fabio Cattaneo, Medicina & Persona)


C'è poco da aggiungere. C'è molto da condividere.


"Dire la verità è un atto rivoluzionario" (George Orwell)

giovedì 16 novembre 2017

Dieci secondi di poesia

Una mia paziente ha scritto questi brevissimi versi, che mi sono piaciuti tanto e le ho chiesto il permesso di pubblicarli.









Forse gli aerei passano veramente/
forse i gabbiani ci sono davvero/
forse anch'io vorrei volare via da qui.










«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

martedì 7 novembre 2017

L'Album di Vita

Volevo condividere una pratica che ho sperimentato con i miei pazienti e che appare promettente. Non so se altri colleghi utilizzino qualcosa di simile nel loro lavoro, ma qualche anno fa l'idea mi è nata spontaneamente e l'ho messa a punto stando vicino a persone che erano impegnati in un lavoro di integrazione e ricostruzione del proprio percorso di vita.

E' molto semplice e chiunque può metterla in pratica, benchè l'analisi del risultato e il lavoro di approfondimento con ulteriori tecniche di sviluppo siano esperienza da condurre solo in ambito psicoterapeutico.

Bisogna costruire un album della propria vita, un oggetto che riepiloghi in sè l'evoluzione e la crescita personale, da conservare e lasciar agire. Si tratta di questo: 


  • Procurarsi un quadernone ad anelli in cui inserire buste di plastica forate.
  • Metterci dentro tante buste quant'è l'età della persona. Ad esempio, sono nato nel '92, ho 25 anni, quindi inserirò 25 buste, una per anno.
  • Su ogni busta, col pennarello, scrivere l'anno corrispondente in modo progressivo. Per rimanere al mio esempio, sulla prima busta scriverò 1992, sulla seconda 1993, e così via, fino all'ultima, 2017.
  • Finita questa fase preparatoria arriva il compito vero e proprio: Dentro ogni busta mettere qualche cosa (qualunque cosa va bene) legata a quello specifico anno. Ad esempio, una foto, un pensiero, un ricordo di un fatto, un oggetto, un souvenir, un titolo di canzone ascoltata... Qualsiasi cosa va bene purchè sia legata a quello specifico anno della mia vita e abbia un rapporto con me. Quindi è inutile mettere nella busta 2001 la notizia del primo caso della Mucca Pazza in Italia se per me quel fatto non rappresentava nulla, ma potrò metterlo se magari la mia famiglia aveva un negozio di macelleria, e quella notizia ha provocato mesi di crisi e problemi nella mia vita. Chiaro, no?
  • Volendo, in una busta posso mettere anche più di un oggetto se quell'anno  lo associo a tante cose importanti per me.
  • Un pò per volta, facendo ricerche familiari e ricostruendo il mio percorso di vita riempirò tutti gli anni ,arrivando alla fine ad avere una sintesi fatta di oggetti concreti, delle varie tappe che mi hanno portato ad essere quello che sono oggi.


La costruzione dell'album di vita è un processo che già così ha una forte valenza psichica, perchè permette di rispecchiarci in noi e cogliere rapidamente lo sviluppo della nostra identità. Regala il senso di un Continuum, di una coerenza interna in mezzo agli innumerevoli cambiamenti che ci sono stati nel cammino. Apre la mente ad intuizioni e domande su noi stessi, ci permette di recuperare un controllo sulle nostre scelte e a capire dove occorre rimettere ordine. Insomma è un mezzo semplice ed efficace per  uscire dalla palude del soggettivismo per iniziare a osservarsi in modo più autentico, ma con una chiave originale e creativa. Ognuno di noi è sintesi della propria storia l'Album di Vita ce la fa ricostuire in maniera simbolica.

Invito a realizzare il proprio album, a sperimentare e a mandarmi dei feedback per raccontarmi le proprie esperienze.

 "Dire la verità è un atto rivoluzionario" (George Orwell)

sabato 21 ottobre 2017

L'uomo che guarda non osserva i suoi occhi

Nella storia della psicologia ci sono stati tanti autori e studiosi che hanno provato a descrivere l'essere umano utilizzando i risultati delle riceche scientifiche e delle oservazioni cliniche. Alcuni hanno sottolineato di più l'aspetto biologico/energetico, altri quello comportamentale. Alcuni hanno concentrato l'attenzione sulla vita mentale, altri su quella sociale. Certi hanno visto l'uomo come un insieme di funzioni "assemblate", altri come un unico dotato di progettualità. Tante visioni diverse, a volte complementari, a volte completamente inconciliabili. 
Ancora oggi non c'è univocità di vedute e di opinioni. L'essere umano è così complesso e articolato da sfuggire ad ogni classificazione, Perchè l'uomo trascende l'uomo, cioè lo supera pur rimanendo perfettamente se stesso. Una persona vive se stessa, ma nello stesso tempo si osserva vivere ed esprime giudizi su di sè. Come se in noi ci fosse un qualcosa che va oltre: appartiene a noi e contemporaneamente è qualcosa di superiore a noi.
Ecco perchè probabilmente la psicologia non riuscirà mai ad arrivare ad un accordo definitivo sull'essere umano, almeno fino a quando non troverà un'antropologia comune, cioè fino a quando non adotterà una visione dell'uomo a monte della ricerca scientifica. 
A mio parere non esiste una psicologia scientifica in senso stretto e tanto meno oggettiva e indipendente. Ma può esistere una psicologia che dia conto della complessità dell'uomo, a partire da una cornice di riferimento che inquadri i dati della ricerca e li organizzi in tutto dotato di significato.



«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

martedì 10 ottobre 2017

Un Popolo Vivo


Sabato scorso in Polonia più di un milione di cittadini si sono piazzati sui confini della nazione e hanno pregato il Rosario per la loro patria, contro l'ateismo e contro il nichilismo islamico. Questo in occasione della festa cattolica della Madonna del Rosario e dell'anniversario della vittoria sui Turchi nel 1571. La vittoria di Lepanto è stata fondamentale nella storia europea, perchè in quell'occasione si è fermata l'invasione musulmana del nostro continente. A proposito del successo di Lepanto, il rosario mariano è sempre stato considerato dai cattolici l'arma con cui il popolo europeo ha sostenuto e dato potenza al suo esercito.

Questa folla che sabato si è è assiepata in migliaia di siti posti sui limiti del territorio polacco ha espresso una realtà interessante, la realtà del Popolo. Attenzione, non parliamo di populismo da protesta controllata interpretato da fenomeni massmediatici come i 5 stelle o la lega, ma Popolo, quello dispezzato dal potere liberista e no global, quello preso in giro o ignorato dagli intellettuali progressisti, quello dato per morto e seppellito da Repubblica. Hanno tanto faticato per aprire le frontiere, per innalzare lodi all'accoglienza del fratello  immigrato, per lucrare sui centri d'accoglienza, si sono impegnati con tutte le loro truppe corazzate per privare gli stati nazionali di qualsiasi autonomia politica ed economica, per commissariare governi e imporre sanzioni e poi, come se nulla fosse, centinaia di migliaia di Cittadini si schierano sulle frontiere pronti a dare battaglia, spirituale, ma molto più desiderata e convinta di tante battaglie costruite a tavolino per spartirsi il mondo e le sue risorse.

Il Popolo Polacco ha palesemente riaffermato la sua sovranità e la sua appartenenza, attraverso il collante di una fede condivisa e di un amor di patria che a noi ricorda il libro Cuore, e a loro fa ancora ribollire il sangue.  

Strano fenomeno, davvero, quello che si è visto all'opera sabato in Polonia, un sasso che rischia di bloccare un ingranaggio che appariva ormai oliato e inarrestabile. "Questa terra è la terra dei nostri padri e dovrà essere terra dei nostri figli" hanno raccontato con i loro sguardi, e lo hanno ribadito non solo i cattolici e la Chiesa Polacca, ma anche molti politici, che avevano già fatto la loro parte con leggi pro-vita e pro-famiglia che hanno prodotto già un bel rislutato innescando una ripresa economica floridissima e in controtendenza.

Vedremo tutto questo dove porterà, intanto venerdì 13 si replica, e questa volta in Italia, prendendo spunto dal centesimo anniversario di Fatima. Un contagio interessante.


 «In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

martedì 3 ottobre 2017

Malattia mentale e famiglia


La malattia mentale è fortemente influenzata dall'ambiente in cui si vive. A cominciare dalla famiglia. E di conseguenza la società. Se la famiglia non sta bene di salute, la società pure va in cancrena. L'individuo viene a mancare di risorse, di sostegno, di orientamento, di ordine, così è assai probabile che sviluppi disturbi.

Chiunque provenga da una famiglia sofferente (perchè divisa, mescolata, conflittuale, innaturale...) porta in sè sofferenza e disagio. Qualcuno riusce a venirne fuori a prezzo di grandi sforzi, altri no, ma tutti soffrono. Certi non se ne accorgono nemmeno.

Voler curare la persona trascurando la famiglia è un'ingenuità imperdonabile. Parlare di famiglia dimenticando la realtà concreta delle persone in carne e ossa è solo accademia. 

Lo psicologo che vuole svolgere il suo mestiere in modo efficace deve sempre mettere la persona in primo piano e la sua famiglia sullo sfondo. tenerle sempre interconnesse nello svolgimento del suo lavoro, dire parole di realtà per poter sostenere la ricerca di chiarezza del paziente. 

Uno psicologo che equipara ogni forma di convivenza dovrebbe riflettere bene sulla sua rsponsabilità terapeutica.


 «In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

mercoledì 13 settembre 2017

Sul Papa e la psicoanalisi

"la brevità è l'anima della saggezza" (Shakespeare, Amleto) 


Leggo sulla Bussola Quotidiana questo articolo interessante del collega Marchesini sul vespaio sollevato riguardo il Papa e i suoi contatti con la psicoanalisi. Copio e incollo:

Psicologia e cattolicesimo: la soluzione è antropologica
di Roberto Marchesini13-09-2017 lo slogan rimbalzare da una testata all'altra mi è venuto da ridere.
«Il papa sdogana la psicoanalisi» (in tempi cristiani si sarebbe scritto «battezza», o
 «benedice»).
Ovviamente Francesco non ha fatto nulla di simile. Ha semplicemente dichiarato:
«Per sei mesi sono andato a casa sua [di una psicoanalista ebrea] una volta alla
 settimana per chiarire alcune cose». Tutto qui. Una breve consultazione, non sappiamo
 né il perché né con quale esito.
Tanto per dire: papa Benedetto suonava il pianofortestrumento bandito dalle
 chiese; eppure nessuno si è mai sognato di scrivere «Il papa sdogana il pianoforte».
Sarebbe stata una solenne sciocchezza.
Invece accade anche questo, durante questo pontificato. I commenti, poi non
sono da meno: la Chiesa avrebbe «sempre osteggiato con tutti i mezzi, anche “illegali”,
 la psicoanalisi, avvertita come pericolosa concorrente, come “colpevole” di aver
 infranto il monopolio cattolico nel confessionale e nella introspezione delle anime».
Finalmente «Francesco non soltanto ha “sdoganato” la psicoanalisi ma l’ha elevata
a “compagna” dell’anima umana». Niente di meno.
Ma vediamolo, l'atteggiamento della Chiesa nei confronti della psicoanalisi. Cosa
hanno detto i predecessori di Francesco a proposito  della psicoanalisi?
Parlando il 14 settembre 1952 ai partecipanti al Primo Congresso Internazionale
di Istopatologia del Sistema Nervoso, Pio XII aveva affermato:
«Per liberarsi da pulsioni, inibizioni, e complessi psichici, l'uomo non è libero di eccitare
 in se stesso, per scopi terapeutici, tutti e singoli quegli appetiti della sfera sessuale che
 s'agitano o si son agitati nel suo essere, e sommuovono i loro impuri flutti nel suo
 inconscio o nel suo subconscio. Non può farne l'oggetto delle sue rappresentazioni o dei 
suoi desideri pienamente consci, con tutte le scosse e le ripercussioni che sono
conseguenza di un tale modo di procedere. Per l'uomo e per il cristiano esiste una legge
 d'integrità e di purità, di stima personale, la quale proibisce d'immergersi così 
completamente nel mondo delle rappresentazioni e delle tendenze sessuali. L'interesse
medico e psicoterapeutico del paziente trova qui un limite morale. Non è provato, 
anzi è inesatto, che il metodo pansessuale di una certa scuola di psicoanalisi sia parte
 integrante indispensabile di ogni psicoterapia seria e degna di tal nome; che l'aver 
trascurato nei tempi passati questo metodo abbia causato gravi danni psichici, errori nella 
dottrina e nella pratica dell'educazione, nella psicoterapia e anche e non meno nella pastorale; 
che sia urgente riempire questa lacuna e iniziare tutti coloro che si occupano di
 questioni psichiche
 alle idee direttrici e perfino, se occorre, all'applicazione pratica di questa tecnica
 della sessualità».
Nell’aprile dello stesso anno sul Bollettino del Clero romano fu pubblicata
una dichiarazione che qualificava come «peccato mortale » ogni pratica della psicoanalisi.
In occasione del Sinodo Romano del 1960, Giovanni XXIII fece inserire un
articolo (n. 239) che metteva in guardia nei confronti di un abbandono
incondizionato del paziente nelle mani dello psicoanalista; e nel 1961 volle
che il Sant’Uffizio emettesse un Monitum per condannare l’opinione secondo
 la quale la psicoanalisi sarebbe necessaria per ricevere gli ordini sacri, o per
 lo meno come esame attitudinale per i candidati al sacerdozio; questo
documento, inoltre, esprimeva il divieto a chierici e religiosi di praticare
 la psicoanalisi, e ai seminaristi di ricorrervi (se non con il permesso dell’Ordinario
 e per gravi motivi).
Anche Paolo VI criticò la psicoanalisi diverse volte; in particolare rimproverava
 a questa dottrina di essere una «psicologia dal basso». Questo pontefice ha indicato
 più volte le sublimi vette che l’animo umano può raggiungere mediante l’ascesi,
 contrapponendole al «torbido fondo» che, secondo la psicoanalisi, costituirebbe
la vera natura umana, da assecondare e liberare.
Giovanni Paolo II ha toccato in più occasioni il tema dell’incompatibilità tra
antropologia cattolica e psicoanalisi. In particolare, nell’udienza generale del
29 ottobre 1980, il Santo Padre si riferisce a Freud come ad un «maestro del sospetto»,
che accusa implacabilmente il cuore dell’uomo di «concupiscenza della carne».
Questa chiarissima posizione può essere dettata solo dal desiderio di conservare
«il monopolio cattolico nel confessionale e nella introspezione delle anime»? O c'è un
motivo più profondo e serio?
Rudolf Allers, l'unico cattolico ammesso alla presenza di Freud, l'ha scritto con
chiarezza: ciò che differenza una psicologia dall'altra è l'antropologia sulla quale essa di fonda.
L'antropologia cattolica è nota: è quella aristotelico-tomista.
L'uomo è un essere razionale, fatto ad immagine e somiglianza di Dio. La sua facoltà
più elevata, quella che lo rende simile al Creatore, è la ragione. Essa ha il compito
di discernere il bene e il male. Le passioni sono al servizio della ragione, come nel
mito platonico della biga alata: hanno il compito di condurre l'uomo verso il bene
e lontano dal male.
E la psicoanalisi?
Per questa disciplina il nucleo fondante l'uomo non è la ragione, bensì
 l'inconscio, ossia le passioni (che Freud chiama «pulsioni» perché convinto che
 il loro fondamento sia biologico).
L'istanza morale (cioè la ragione) nella psicoanalisi è il Super-io: «il veicolo
 della tradizione, di tutti i giudizi di valore imperituri che per questa via si
sono trasmessi di generazione in generazione» (Sigmund Freud, Introduzione
alla psicoanalisi, in Opere vol XI, Boringhieri, Torino 1979, pag. 179).
Bene. Anzi no, perché il Super-io è considerato da Freud un «tiranno» «crudele».
Abbiamo quindi, nella psicoanalisi, un perfetto rovesciamento dell'antropologia
 cattolica.
Non solo. Quali sono le passioni originarie che costituiscono il fondamento
antropologico freudiano? Le pulsioni sessuali (eros) e omicide (thanatos).
Le stesse passioni originarie che, secondo Nietzsche, potremmo liberare
se eliminassimo la metafisica (cioè la ragione di Tommaso, il Super-io di
Freud): stupro e omicidio.
Dunque la diffidenza della Chiesa nei confronti della psicoanalisi
qualche fondato motivo (a parte la conservazione di immaginari monopoli)
 ce l'ha. E pure con ragione, se consideriamo cosa accadde quando i
chierici avvicinarono la psicoanalisi (mi riferisco all'abate Lamercier e a
 don Eugen Drewermann, dei quali non possiamo occuparci per ragioni di spazio).
Certo, non è mancato chi abbia tentato di «sdoganare» davvero la
 psicoanalisi cercando «ciò che unisce e non ciò che divide».
Penso a Leonardo Ancona; penso a chi ha tentato di «battezzare» Jung
perché «rispetto a Freud è aperto alla spiritualità» (peccato che sia una
spiritualità gnostica e demoniaca); penso a chi va a recuperare
pseudo-sconosciuti psicoanalisti «ostili alle religioni organizzate ma non alla fede».
Siamo ben lungi da una sintonia tra cattolicesimo e psicoanalisi, nonostante
tutti gli sforzi.
Non mancano nemmeno i cattolici psicoanalisti; ne conosco e stimo
 diversi. Ottimi professionisti, ma costretti a scindersi tra le due appartenenze.
La soluzione è quella di costruire una psicologia partendo dal fondamento
 antropologico artistotelico-tomista. Gli esempi – autorevoli, anche se
 sconosciuti ai più – non mancano: Rudolf Allers sopra a tutti; e poi Terruwe
e Baars, Magda Arnold... Autori ai quali, coraggiosamente quanto meritoriamente,
l'editore D'Ettoris sta cercando di dare una voce con una apposita collana.

Niente sdoganamenti, dunque, niente scorciatoie; studio e duro lavoro. Solo in
 questo modo si avrà una piena e fruttuosa collaborazione tra psicologia e cattolicesimo.


 «In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

sabato 9 settembre 2017

Telegramma agli adulti: come rendersi simpatici ad inizio anno

"la brevità è l'anima della saggezza" (Shakespeare, Amleto) 



I giovani vanno trattati come giovani, come persone, cioè, che hanno pochissima esperienza del mondo, della vita, delle sofferenze, che hanno un sistema nervoso che completerà il suo sviluppo verso i vent'anni, che non hanno alcuna saggezza, che sono pieni di energia, ma nessuna idea su come utilizzarla.
I bambini poi sono del tutto immaturi, pieni di egoismi e desideri impossibili, incapaci di badare a loro stessi, con una sensibilità spiccata nel capire chi gli vuole bene e una capacità diabolica nello sfruttare chiunque per soddisfare i loro desideri.
Entrambi sono presuntuosi e convinti che la loro testa abbia sempre ragione e i loro impulsi debbano essere sempre soddisfatti.
I giovani parlano a  sproposito di cose di cui non comprendono la portata. Non è una buona scelta quella di incoraggiarli.
Giovani e bambini rischiano di essere sempre sopravvalutati, ma soprattutto nella nostra società che contemporaneamente li adùla, li sfrutta e li manipola, devono invece ricevere il dono più grande, segno di amore e rispetto: quello di essere messi al loro posto. E il loro posto non è il centro del mondo, ma un angolo ben illuminato da dove osservare il mondo in compagnia di un maestro.
I giovani non sanno nulla, devono imparare tutto. Lentamente, progressivamente, prudentemente. La loro conoscenza delle nuove tecnologie è semplicemente un abilità pratica, non superiore a quella dei bambini di inizio novecento che sapevano costruire una fionda e colpire una lucertola a cinquanta metri, non è saggezza. La saggezza, cioè il saper vivere consapevolmente e liberamente, la acquisiamo negli anni sotto la guida di persone esperte, presenti, forti e attente. Possibilmente i genitori.
Il cuore dei bambini non è innocente, però ha l'istinto di sapere a chi affidarsi per essere guidato e corretto. Non tradiamoli affidando la loro vita a internet, televisione o centri commerciali.


 «In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

giovedì 31 agosto 2017

Stupri estivi, le parole non dette

I clandestini che si introducono abusivamente in Europa fanno altrettanto nel corpo delle donne. Un'estate di stupri di stranieri ai danni di donne e ragazze che liberamente si muovono nelle nostre città.

Liberamente? L'occidente in effetti ha un problema con la libertà. che gli stranieri hanno drammaticamente portato alla luce.

Proviamo a vedere la questione stupri con altri occhi. 

Consideriamo le cose come fa l'extracomunitario medio che: al suo paese vede le donne ingabbiate in un ruolo di servizio e sudditanza assoluta, bastonate qualora il padrone (padre/marito/comunità) lo ritenga necessario, uccise o abbandonate qualora il padrone (padre/marito/comunità) lo ritenga giusto, sposate da bambine qualora il padrone (...) lo decida, comprate quando (...) ecc. ecc. L'extracomunitario, che per lo più non è andato mai a scuola o comunque ha frequentato scuole del suo paese, sbarca in Italia e vede, non potendo ascoltare data la sua pessima conoscenza della lingua, tanto più della cultura italiana: cartelli pubblicitari dove il corpo delle donne viene usato per vendere lavatrici, programmi televisivi dove il corpo delle donne (spesso accuratamente sconnesso dal cervello) viene usato per tenere alta l'audience, osserva ragazzine quindicenni che alle tre di notte passeggiano da sole con tutta l'imprudenza della loro età, vede mamme che portano in giro le loro figliole conciate ancor peggio di loro, ignorando o meglio ricercandola, l'attenzione che attirano su di loro. L'extracomunitario medio cosa pensa a questo punto? Che l'Europa è il paese del Bengodi, dove la carne femminile è bene comune e lui non si tira indietro.

Perdonate la brutalità, ma per ragioni di lavoro io vedo e parlo spesso con extracomunitari, capisco senza approvarle anche le loro (sbagliate, ma vaglielo a spiegare) ragioni.
Ma anche se volessimo spiegargliele, sarebbe difficile e non certo per motivi linguistici. Infatti dovremmo dirgli che le donne hanno la stessa dignità degli uomini, ma lui ci chiederebbe perchè allora vanno in giro presentandosi come oggetti in vetrina valorizzando solo l'esteriorità. Dovremmo dirgli che le donne non si toccano, ma lui ci chiederebbe perchè allora hanno dei modi con cui palesemente manifestano la voglia di essere desiderate. Dovremmo dire che la nostra cultura ha delle regole, e lui ci chiederebbe perchè noi siamo i primi che diamo prova di ignorarle. Dovremmo dire che in Europa grazie al cristianesimo la donna è stata nobilitata e affrancata dalle condizioni in cui il paganesimo la teneva, ma lui ci chiederebbe ragione del fatto che oggi il cristianesimo è così tenuto in bassa considerazione, a cominciare dagli stessi cristiani. E così via. Una battaglia persa.

L'occidente ha un problema con la sua stessa identità. In nome della libertà assoluta ci siamo autodistrutti, abbiamo lasciato che il potere ci facesse rinnegare le nostre radici e la nostra bellezza, la nostra dignità e la nostra cultura, così abbamo perso la forza che ha sostenuto lo sviluppo del continente nei secoli e siamo diventati carne da macello. E abbiamo dimenticato del tutto cosa significa davvero libertà. 

Il problema non è degli extracomunitari. Potremmo gestire facilmente i flussi migratori e impostare una gestione del problema intelligente e lungimirante. Potremmo fare tante cose per lo sviluppo dei nostri popoli, potremmo, ma non lo faremo. Perchè dovremmo avere il coraggio di riscoprire il nostro passato e criticare buona parte del nostro presente, riscoprire la cultura che ci ha reso grandi, le ragioni del nostro essere occidentali, ragioni che dovevano essere finalizzate al servizio nostro e degli altri paesi e invece sono sate dirottate verso un egoistico colonialismo. Dovremmo fare un Mea Culpa grande come una casa per essere stati violentati innanzitutto da una classe politica ignorante e parassitaria, venduta al Potere, senza dignità, ladri di polli di una statura pari ad un disonesto ammnistratore di comdominio . E poi per esserci fatti volentare i nostri figli dalla droga, dall'alcool, dalle discoteche che li tengono imprigionati fino al mattino per rivomitarceli fuori all'alba distrutti e prosciugati. Altro che libertà.

Donne violentate? E' l'ultimo, penoso e terribile epilogo di una violenza iniziata molto prima dello sbarco dei clandestini, Stupri del cuore, prima che del corpo.

Come ho ricordato spesso non sono fiducioso sul recupero di questa nostra società. La società occidentale è allo stadio terminale e gli extracomunitari non sono la causa, sono la conseguenza, sono quelli a cui è stata fatta annusare la puzza di cadavere e sono corsi a nutrirsi. 

Non credo ad un recupero, almeno a breve termine. Sono però fiducioso nel potere che ha la famiglia (almeno le poche famiglie sane che ci sono) di conservare al suo interno i semi buoni di un passato giusto e trasmetterli ai propri figli. Quando intorno a noi la sterilità della rassegnazione avrà raggiunto il suo culmine   questi semi buoni, fecondati da una presa di coscienza autentica, saranno la speranza di un rinnovamento profondo dell'Occidente. 

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

giovedì 27 luglio 2017

Partenze intelligenti


Il periodo delle vacanze così attese è arrivato. Come passeremo questi giorni, pochi o tanti che siano? Per molti l'obiettivo sarà il divertimento puro e semplice. Agli altri che preferiscono non mettere il divertimento al primo posto, ma vorrebbero trarre dalle vacanze soprattutto riposo fisico e mentale proponiamo qualche semplice consiglio:

  1. Rimanete il più ossibile a contatto con la natura. A contatto significa utilizzando tutti i sensi (osservate a lungo, ascoltate i suoni, odorate, percepite col tatto e col gusto).
  2. Esponetevi alla luce.
  3. Prendetevi almeno un paio d'ore al giorno per stare da soli, e riflettete sull'anno passato, sui vostri rapporti sociali, sui traguardi che volete raggiungere.
  4. Approfittate del tempo libero per mettere ordine nella vostra vita.
  5. Non perdetevi l'opportunità di ammirare qualche bellezza artistica nella zona dove starete.
  6. Cercate di di passare almeno una settimana senza accendere il computer, senza tv, riducendo l'uso del telefono al minimo indispensabile per essere raggiungibili (un'oretta al giorno, non di più ).
  7. Leggetevi qualche buon libro (i libri buoni è difficile riconoscerli, ma certamente non sono mai quelli in prima fila sugli scaffali o i best seller pubblicizzati sui grandi quotidiani...).
  8. Cercate di ridere e sorridere, anche nelle difficoltà. Imparate l'arte più preziosa al mondo, quella di non prendervi mai troppo sul serio.  


«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

giovedì 6 luglio 2017

Sposi per quanto?


L'unico modo per far durare un matrimonio per tutta la vita è farlo durare per tutta la vita. Nel senso che - a parte qualche eccezione - la decisione di separarsi e o rimanere insieme è come ogni altra decisione un atto libero e consapevole della volontà. Come ogni atto libero, dipende quindi non dalle emozioni o dal momento, ma da una scelta precisa della persona. Si può scegliere di rimanere insieme per tutta la vita e questa scelta la si vive come definitiva e irreversibile, e quindi ci si comporta in modo tale che così avvenga.  
La riuscita di un matrimonio dipende perciò da due fattori: la maturità umana di chi si sposa, che deve essere in grado di capire e di vivere l'irrevocabilità di una scelta, pena la non validità del fatidico "Sì", e il non porre condizioni al matrimonio ("Per sempre, ma a patto che...").

Chi celebra un matrimonio deve puntare su questi due aspetti per capire se il patto che si va a stipulare è davvero una scelta  su cui si gioca tutta la vita o una patetica recita di teatrino parrocchiale.

Il matrimonio indissolubile è una "Mission" tutt'altro che "Impossible", se abbiamo a che fare con persone che capiscono il senso del rimanere fedeli alla parola data. Mettendo in conto scivoloni, crisi e debolezze, ma questo fa parte della fragilità umana, niente di drammatico...

Ricordiamo che sulla pagina fb "I Signori dell'Anello" nella sezione "Descrizione" c'è il link per scaricare gratuitamente la guida alla vita di coppia e all'educazione dei figli.


 In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

giovedì 29 giugno 2017

Con Charlie, in attesa dell'alba

Vi invito a leggere questa lucida e chiara riflessione di Enzo Pennetta sul sacrificio umano del bambino Charlie Gard, che può considerarsi la manifestazione ormai scoperta della dittatura terminale.  Un pensiero di Berlicche




Noi resistiamo in piedi, in attesa dell'alba.







«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

domenica 25 giugno 2017

L'irrazionale paura dei Nuovi Inquisitori

Come si può capire da questo articolo, il Potere che controlla i gruppi  gay, trans e compagnia bella sta cercando sempre più di mettere il bavaglio ad ogni forma di pensiero libero e indipendente. Utilizzando qualsiasi mezzo e capacità di influenza si lancia in querele, sanzioni, minacce più o meno velate, con lo scopo di impedire che chi sostiene opinioni diverse dalle loro possa continuare ad espirmersi. Insomma una Nuova Inquisizione Arcobaleno, che però, a differenza della originale Inquisizione che quanto meno agiva in maniera dichiarata per tutelare la Religione, questi tribunali odierni non vogliono tutelare nulla (visto che di tutele ne hanno già da vendere, anzi da Vendola), ma vogliono semplicemente annientare chi non la pensa come loro. Sembra quasi un odio isterico verso chiunque manifesti la possibilità di un pensiero alternativo.
Questo fenomeno curioso spinge ad una considerazione chi si occupa di psicologia. Mi spiego: Se un individuo è convinto che il proprio modo di vivere sia giusto, e in effetti la società gli consente ampiamente di vivere senza difficoltà, che motivo ha di denunciare e portare davanti al tribunale altre persone che pensano sia  meglio vivere in un altro modo? Nessuno. Può continuare ad agire come meglio crede e infischiarsene delle critiche, visto che anche lui ha la libertà di critica verso quegli altri. Si chiama pluralismo, democrazia, rispetto delle opinioni, società senza conflitti.  Invece, stranamente, questi gruppi LGBT... ecc ecc. non solo hanno deciso che vogliono vivere a modo loro, ma pretendono anche di modificare l'ordine sociale da sempre basato sullla famiglia volendo ottenere ciò che è prerogativa della famiglia, i figli, volendo aprire i bambini alla loro ideologia gender convincendoli che il loro punto di vista è giusto, volendo infine imbavagliare e silenziare tutti gli altri (che tra l'altro sono la maggioranza). Allora, qui il sospetto è legittimo. Il sospetto è che ciò che sostiene le azioni di questi signori non sia la difesa dei loro diritti, ma la reazione alla paura. Questi gruppi gay, lesbiche trans e chi più ne ha più ne metta, sono terrorizzati dalla possibilità che esista qualcuno che dica che il loro modo di vivere è sbagliato. Hanno il panico da critica, quindi inconsciamente desiderano la distruzione, l'annientamento, la soppressione completa di chiunque non la pensi come loro. 

Certo, la mia è un'ipotesi, che avrebbe bisogno di verifiche e approfondimenti, ma è l'unica spiegazione sensata che trovo al profondo rancore che questi cittadini dimostrano verso chiunque dica qualcosa di diverso alla loro sbandierata "diversità".

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

mercoledì 21 giugno 2017

A proposito di Foffo e Prato

Marco Prato, che insieme all'amico Foffo in un festino omosessuale ha torturato, violentato e ucciso Luca Varani, assoldato per far compagnia ai loro giochi, si è ammazzato nel carcere di Velletri. Ma senza un minimo di violenza, si è suicidato nella maniera più indolore e anestetizzata che è riuscito a escogitare nella cella. Perchè la sua bestialità era per gli altri, su di sè mille premure e delicatezze, anche nella morte non si è riscattato.
La vicenda di Prato e Foffo fa sbadigliare. Perchè il male è noioso e banale. Sempre uguale a se stesso, crudele, pauroso e bugiardo. Due squallidi personaggi che nel loro misero panorama di vita hanno avuto solo tre riferimenti: l'ano dietro, il pene davanti e i tatuaggi tutt'intorno. E quando l'ano, il pene e i tatutaggi esausti da tanta ammirazione e goduria allentavano l'interesse della loro vita, per evitare il rischio che fossero costretti a pensare (ci mancherebbe altro)  gli davano giù con cocaina e orge.
Prato, di fronte alla prospettiva di una lunga galera ha retto un battito di ciglia finte. Ha preferito passare dal nulla della sua vita al silenzio della morte. Senza una riga di pentimento vero, di scuse vere, di assunzione vera di responsabilità. Una morte banale e noiosa.
A questo punto onore a tanti detenuti che si fanno la loro prigione, coscienti di essersela meritata, che in carcere lavorano, studiano, si laureano. Uomini sì, quelli, che hanno fatto cose brutte, sì, ma se ne assumono la responsabilità fino in fondo. 

  «In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

sabato 17 giugno 2017

Il rischio dell'affondamento

I rischi, in effetti sono due: quello di non vedere o quello di vedere troppo.

Ci sono quelli che attraversano questa vita senza guardare, di conseguenza senza vedere. Non si accorgono di nulla di quello che avviene nella società, nel mondo, intorno a loro. Vivono la vita senza capirla e quindi in modo passivo e conformista, totalmente privi di spirito critico e di pensiero autonomo. Totalmente sudditi e ubbidienti al pensiero corrente, al Politically Correct.

E ci sono quelli sempre affacciati alla fnestra, ad osservare e sottolineare le follie, le incongruenze, le irrazionalità, i sintomi del decadimento della civiltà e della storia. Vivono così, a replicare inutili post di indignazione, di denuncia, di allarme, di punti esclamativi e di "Non si può andare avanti così!". Ma intanto vanno proprio avanti così. Di post in post, di perdita di tempo in perdita di tempo. 

E tra chi non vede e chi non si dà pace, intanto le cose procedono verso un'inevitabile aumento di entropia, come direbbero i fisici, cioè di disordine del sistema, in un progressivo avvitamento su se stesso il cui esito sembra inevitabile.

Ma qual'è l'atteggiamento raccomandabile da adottare in un momento storico come il nostro? Bendarsi e non vedere, o rimanere in uno stato di allarme continuo, ma sterile? L'idea che  mi sono fatto è che non è possibile opporsi alla valanga ormai partita, la prevenzione infatti si sarebbe dovuta operare molto tempo fa e non è stata fatta e ora è tutto un movimento inarrestabile di disgregazione sociale.  Ma la scelta di girarsi dall'altra parte, aspettando l'eutanasia della civiltà anestetizzati da Whatsapp, Fb o calcio vuol dire rendersi complici di una scelta autodistruttiva. Non degna, nè raccomandabile. Ma anche il voler elencare ogni dissennatezza, ogni follia che costantemente ci viene imposta nel rumore assordante del "notizismo" quotidiano, con l'illusione di poter cambiare la rotta attraverso un iperattivismo di denuncia mi sembra patetico e fuori luogo.

Ritengo che ogni persona dovrebbe fare una scelta di valori importanti e affidabili da utilizzare come un naufrago utilizza dei legni galleggianti nella tempesta, per non affogare - innanzitutto - e poi magari raggiungere faticosamente la terra ferma. Non si può far finta di non vedere che la nostra società è arrivata al capolinea di questa fase storica, ma non si può nemmeno lasciarsi andare ad un nevrotico e inconcludente parlottio di indignazione a vanvera. Ci saranno dei sopravvissuti psicologici dopo l'impatto, cioè quando le contraddizioni diventeranno ormai inconciliabili all'interno del sistema, e saranno coloro che avranno mantenuto un corretto rapporto con la realtà, legati da un robusto cordone di  principi e valori inaffondabili. Questo è anche lo scopo di questo blog: essere un minuscolo faro di realismo per chi non vuole camminare bendato, ma desidera anche appoggiare la propria speranza su una base di concretezza.
Ecco allora gli elementi minimi per procurarsi, secondo noi, una zattera davvero inaffondabile:

  • La “verità” esiste ed è conoscibile, almeno in taluni suoi aspetti  fondanti, dalla ragione umana ed è riconoscibile, in linea di principio, da tutti gli uomini quando la usino correttamente.
  • Ci sono delle “regole di comportamento” universali che si riassumono nella “legge morale naturale” – sulla quale si fonda il “diritto naturale” – che sono comuni a tutte le culture e sono riconoscibili come “irrinunciabili” da tutti coloro che usino adeguatamente la ragione. 
  • La vita va protetta e rispettata in tutte le fasi e in ogni condizione, dal concepimento alla morte naturale.
  • Esiste una struttura naturale della famiglia,, come unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio.
  • I genitori hanno il diritto ad educare i propri figli.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

mercoledì 14 giugno 2017

Abbiamo messo in ordine l'Ordine

E' terminata la prima edizione del percorso formativo "La felicità passa dall'Ordine" che abbiamo realizzato con l'Associazione Kriterion. Un percorso che ha cercato di fornire gli strumenti base per comprendere la natura dell'ordine, la necessità di vivere nell'ordine e le strategie per farlo.
Siamo soddisfatti dei risultati, il gruppo di soci che ha seguito gli incontri presso i locali della Parrocchia San Clemente è stato costante nella partecipazione e ha rilasciato degli ottimi feedback. Ma siamo contenti in modo particolare di esserci potuti avvicinare a questo tema in modo originale e approfondito. Ci siamo resi conto che l'Ordine è ben altro e ben di più che tenere i cassetti a posto o avere la giornata ben organizzata.  Certo, tutto questo aiuta, ma è solo una manifestazione esterna di un pensiero ordinato che deve essere costruito e formato a monte. L'ordine è uno stile di vita.
Ringraziamo di cuore tutti i partecipanti e forti del risultato cercheremo di realizzare una seconda edizione per soddisfare tutte quelle persone che per motivi di orario o altro non sono riusciti a venire pur interessati. Un ringraziamento particolare va inoltre ai colleghi psicologi Dottoressa Mariaelena Giuliani e Dottor Giulio Sorgi per il loro prezioso contributo nell'organizzazione dell'evento.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

martedì 6 giugno 2017

L'amore dei musulmani per l'Europa

A parte la peronale opinione che i terroristi siano pupazzi manipolati e guidati da centri di potere per ragioni geopolitiche ben precise, ma davvero pensiamo che un musulmano osservante si possa integrare in un paese occidentale adottandone lo stile di vita e le abitudini? Davvero pensiamo che possa considerare sano un continente dove chi ha potere mette in galera chi non rispetta gli animali e difende chi ammazza un bambino nella pancia della madre? Un continente dove i genitori mandano sorridendo i loro bambini nelle scuole dove si insegna che l'omosessualità è normale e che l'amore per tutta la vita è un retaggio medievale? Un continente dove politici pippano cocaina e sdoganano la pedofilia e i cittadini continuano a credersi rappresentati? Un continente dove si vogliono far fuori i malati e i vecchi con l'eutanasia e si finanziano le ong che aprono ospedali di campo per distribuire preservativi? Un continente dove si sopporta un giornale che fa vignette blasfeme e dove i baciapile per primi battono le mani alla laicità e alla libertà di pensiero? Un continente dove si liberalizza il gioco e le scommesse che portano alla povertà i suoi cittadini purchè si dica che bisogna giocare con moderazione? Un continente che inneggia alla pace e poi esporta armi e va al guinzaglio degli americani e dei loro padroni a far guerra in Medio Oriente? Ma davvero pensiamo che un musulmano non desideri dare fuoco all'Europa e cospargerla di sale per purificarla dalla sporcizia e dalla depravazione? Un musulmano non ritiene certo sano o normale un continente così. 
Ci amerebbe se trovasse uomini degni di questo nome, fedeli ai principi, coerenti ai valori che dichiarano, pronti a difendere l'unità della propria famiglia, disposti ad opporsi a chi corrompe i figli. Ma dove sono in Europa simili mostri? E allora, continuiamo a piangere su Totti o sulla mancata vittoria della Juve e piantiamola con l'ipocrita scenetta dell'indignazione ad ogni attentato. Accogliamo col sorriso le bombe e il sale degli estremisti utilizzati da chi vuole dare il colpo d grazia all'Europa: nelle scuole o in televisione o sui telefonini i nostri figli subiscono altre violenze, ma non di minor peso.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

mercoledì 31 maggio 2017

Uscire dalla paranoia

...I guru citati su Facebook fanno ridere, coloro che si propongono come guide a volte sono persino nocivi (ricordo il bambino morto pochi giorni fa di otite, seguito con metodi omeopatici da un medico risultato in contatto con una setta lombarda ), lasciamo perdere i vari gruppi di meditazione orientale con maestri a carico...


 Noi vediamo gli altri e non vediamo noi stessi. Questo dipende dall'anatomia dei  nostri occhi rivolti verso l'esterno, ma anche dalla nostra mente più predisposta ad osservare la vita degli altri che la propria.
Da questa continua "uscita da sè" deriva la seria difficoltà ad esprimere un giudizio corretto su se stessi e l'incapacità di capire chi siamo e quale deve essere la nostra strada nella vita.
Questa evidenza esige quindi che se vogliamo realizzarci veramente non possiamo contare completamente su di noi; è raccomandabile fidarci ed affidarci a qualcuno che ci conosca, ci ami e sappia guidarci nelle scelte, senza mettersi al posto nostro, ma educando la nostra libertàaeffinchè possa esprimersi al meglio.

Da piccoli abbiamo i genitori, non c'è dubbio (se sono presenti, generosi e responsabili), ma già nella preadolescenza si sente la necessità di un maestro, di una guida, di di un riferimento solido e affidabile. Crescendo ulteriormente questo bisogno diventa quasi un obbligo. 
Sebbene l'impresa sembri ardua non possiamo perderci d'animo. Rimanere da soli a decidere o
ad esprimere giudizi su questo e quello vuol dire rischiare di cadere nella trappola della paranoia, cioè di essere autoreferenziali e vivere con sospetto e ostilità ogni rapporto umano. E' il precipizio della solitudine e della chiusura nel proprio microcosmo. Cerchiamo intorno a noi persone che ci vogliono bene (quelle che non ci dicono sempre di sì o ci danno sempre ragione), e - pur nella prudenza -rischiamo l'avventura della relazione profonda, della condivisione. A volte andrà male, a volte ci sentiremo compresi, a volte saremo delusi, ma nessuno è un'isola e tutti abbiamo bisogno di chi in un certo momento della vita ci apra gli occhi e ci conduca.


«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)