martedì 27 dicembre 2016

Vivere finti e morire di sbadigli

Un morto vero e un finto vivo
In questo 2016 sono morti in tanti, molti dei quali si agitavano e si sbattevano come se pensassero di essere immortali. Invece ora stanno da qualche parte, in un angolo della nostra terra, e tra poco nessuno più si ricorderà di loro. La maggior parte dei morti "famosi" erano famosi per la pretesa di costruirsi una vita stravagante, originale, depravata e provocatoria. Ma la morte non si fa ingannare così banalmente, anzi, li ha individuati con più facilità e li ha abbattuti. Soliti commenti, solite lacrimucce, soliti video su youtube, poi solito menefreghismo. Amen, giriamo pagina. 
La morte dei vip è un evento mediatico noioso e fastidioso, come la vita che l'ha preceduta. Costringe i giornalisti a inventarsi qualche commento di routine, a riciclare qualche intervista postuma, a suscitare qualche elemento di commozione. Fino al prossimo cadavere eccellente. Ma non è meglio vivere, piuttosto che indossare un'esistenza fittizia da recitare davanti le telecamere?  
Vivere pienamente e morire da uomini, che meraviglia!
«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

domenica 25 dicembre 2016

il Pensiero Collettivo vende parole inutili

Come abbiamo già scoperto in molte altre occasioni, la nostra società ciclicamente si innamora di qualche parola che sembra molto significativa, così tutti iniziano ad usarla in ogni contesto, in modo indiscriminato, a-critico, e ce la ritroviamo oiantata dappertutto come bandiera di rassicurazione: "Tranquilli, qui sei in territorio amico, qui ci capiamo, siamo tutti d'accordo, conformati anche tu e otterrai approvazione senza dover sforzarti troppo".
Ma  a noi qualche sforzo non dispiace, anche perchè se ci riflettiamo un momento, ci rendiamo conto che queste parole sono spesso usate in maniera molto equivoca, sotto l'apparenza di  salvagenti sociali si rivelano poi piombi pesantissimi che fanno annegare il cervello in due centimetri di acqua fangosa.  
Potremmo farne un lungo elenco: ascoltosinergia, opportunità...  
Oggi la parola che tira molto è inclusione
Inclusione è un'espressione immancabile in ogni Pof (piano dell'offerta formativa) scolastico, in ogni progetto per chiedere fondi regionali, inclusione si usa nei convegni della sanità, della giustizia, della politica estera, delle innovazioni tecnologiche. Campanello d'allarme: quando una parola la usano troppe persone in troppi posti vuol dire che è una parola rinforzo del politicamente corretto, ovvero quella parola si presta ad equivoci o significa altro da quello che sembra, non è frutto di riflessione critica, non è una parola utile, alimenta la pigrizia mentale e il conformismo. 
Cosa si intende per inclusione? Si intende la possibilità di integrare all'interno di una realtà sociale  (un gruppo, la società intera, una certa comunità, una classe) persone che invece erano, per vari motivi, escluse. 
Detta così, l'inclusione sembra una cosa buona. Sembra. A guardar meglio invece, senza una doverosa serie di precisazioni, questo termine si rivela un'espressione paradossale e grottesca. Quando viene usata si  sottintende, infatti,  che ci sia una struttura sociale coesa dalla quale vengono escluse persone che quindi subiscono i danni legati alla presunta emarginazione. A me pare che le cose siano ben diverse.
Da anni e anni il potere ha intrapreso una battaglia per valorizzare l'individualismo più sfrenato, cioè il culto del soggetto le cui pretese hanno ogni precedenza e diritto ad ogni accoglienza. Si è promossa l'idolatria dell'io, la devastazione di ogni comunità cominciando dalla famiglia, vista come limite alla libertà individuale. Si è corrosa in questo modo la struttura portante della società. Oggi vediamo come risultato di questo lavoro un occidente dove ci sono sempre più vecchi, dove le poche famiglie non fanno figli, dove i maschi hanno visto decadere il loro livello di salute riproduttiva e ci sono sempre più donne sterili (chiedere agli specialisti), dove all'interno delle famiglie e di ogni altro gruppo il livello di conflittualità è sempre maggiore. Insomma, il sistema di relazioni collaborative e solidali è stato demolito dal culto dell'egoismo, promosso a virtù invece di malattia mortale. E ora, gli stessi  che - magari inconsapevolmente - con una mano  hanno portato acqua al mulino dei disgregatori della società, con l'altra spingono a fare progetti per l'inclusione, evidenziano quindi che c'è bisogno di una società per accogliere gli esclusi. E' il colmo: creano gli esclusi distruggendo la comunità poi fanno progetti per l'inclusione evidenziando quindi la necessità di una comunità accogliente! Se non è schizofrenia questa non so più cos'è la malattia mentale.
Questa mania dell'inclusione, è figlia ideologica della visione mondialista e globalizzatrice, quella che detesta barriere, confini e separazioni. Ma, come abbiamo considerato tante volte, senza limiti non ci sono nemmeno le diverse cose esistenti, ridotte ad una marmellata informe e indifferenziata. Senza confini ci sono invasioni di campo e miscugli informi, senza regole che creano ordine e separazione c'è il regno del caos. Senza confini netti non ci sono comunità, e senza comunità è ridicolo e imbarazzante parlare di inclusione.

Certe volte preferisco non essere incluso
Quando vedo scritto in ogni progetto, in ogni locadina di convegni, in ogni proposta "Innovativa" la parola inclusione penso a tutte queste cose e penso che per includere efficacemente bisogna prima escludere con intelligenza. Prima di preoccuparci di chi è fuori occore rinforzare la struttura che contiene il "dentro". Io preferisco lavorare per rinforzare le famiglie esistenti, perchè solo famiglie sane e forti formano comunità sane, e solo comunità sane sono solidali e prevengono l'emarginazione.  Cercare di includere gli emarginati in società sbrindellate, egoiste e litigiose sarebbe la stessa cosa di salvare un cane dal randagismo per chiuderlo dentro un canile-lager. Meglio non farsi includere dal Pensiero Collettivo.

 «In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)










mercoledì 14 dicembre 2016

Una finestra piena di possibilità


La finestra di Johari è uno schema alquanto interessante, si tratta di una griglia a doppia entrata creata da Luft e Ingham nel'55.  E' usata in parecchi ambiti, dall'analisi della comunicazione nei gruppi, ad applicazioni artistiche. Personalmente trovo utile usarla in psicoterapia per far comprendere ai pazienti certe dinamiche di cambiamento. Nello schema illustrato qua sotto osserviamo la finestra.

Riguarda essenzialmente la conoscenza che noi e gli altri abbiamo o non abbiamo di aspetti che ci riguardano. Si vengno a creare quattro aree: Pubblico (Ciò che noi sappiamo di noi stessi e condividiamo con gli altri); Privato (ciò che noi sappiamo di noi stessi, ma che non condividiamo); Cieco ( Ciò che io non vedo di me stesso, ma gli altri invece vedono); Inconoscio (Ciò che di noi stessi ignoriamo e anche gli altri ignorano).

La finestra ci aiuta a verificare l'esistenza nella nostra vita di aspetti di cui noi siamo consci e che possiamo gestire secondo i vari contesti e necessità, ma anche di "zone oscure" di cui gli altri possono essere a conoscenza o meno, ma che comunque influenzano i giudizi e le decisioni che prendiamo.
Una psicoterapia efficace deve portare una persona da uno stato di prevalenza dei due quadri inferiori: "Io non so" ad una scoperta del settore superiore caratterizzato da una crecente consapevolezza e responsabilità: "Io so". In pratica, un percorso di ampliamento dello spazio di libertà personale, perchè maggiore è la conoscenza che abbiamo delle nostre dinamiche intrapsichiche e maggiore è la possibilità di esercitare la nostra capacità di scegliere.


«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

lunedì 12 dicembre 2016

lettere minuscole


E' un incarico importante quello di Ministro della Pubblica Istruzione, così importante che si scrive con l'iniziale maiuscola. E' un incarico importante e prezioso per un Paese Civile (ma sì, scriviamo maiuscolo pure questo!) quello del responsabile della cultura, della scuola, dell'università, della ricerca. Soprattutto nella nostra nazione, la nostra bella Italia,culla della civiltà, terra sapiente e saggia che con la sua cultura donata ha istruito e civilizzato il mondo.

Essere Ministri della Pubblica Istruzione in un paese come il nostro non è una cosa qualsiasi, vuol dire ereditare secoli di civiltà, intelligenza e genio, dovuti allo straordinario connubio tra pensiero greco, pragmatismo romano e sintesi cristiana. Essere Ministri della Pubblica Istruzione in Italia significa trasfondere nelle nuove generazioni il bagaglio di secoli di elaborazione intellettuale. E' un compito che ha una sua sacralità, sì, è un ruolo sacro. Che richiede ponderazione, equilibrio, sobrietà, prudenza e rispetto; capacità di giudizio; amore per l'istruzione, per i giovani. Essendo un un ruolo sacro ci si deve sentire come sacerdoti: laici, ma sacerdoti; consci di manipolare materiale delicato, prezioso. Sarebbe un tradimento utilizzare il proprio potere di Ministro come un manifestante di piazza usa il suo megafono, per urlare slogan e fare demagogia. 

La Senatrice PD Valeria Fedeli, propagandista dell'ideologia gender, è il nuovo ministro della pubblica istruzione. Perdonatemi, non riesco ad usare le lettere maiuscole.  il nuovo ministro...

Ps.
A distanza di poco dalla sua elezione scopriamo grazie ad Adinolfi, Direttore del periodico "la Croce" che la signora Fedeli, il Mininstro della Pubblica Istruzione, cioè quello che decide sulle scuole, sulle università, sugli istituti di ricerca:
1. Non ha una specializzazione post laurea
2. Non ha la laurea
3. Non ha un diploma superiore di cinque anni
Ha un diplomino magro preso dopo la licenza media, e ha qualche anno di esperienza come sindacalista. E tutto questo l'aveva nascosto vantando titoli inesistenti sul suo profilo.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

mercoledì 7 dicembre 2016

Elogio femminile

Un paio di link interessanti, che fanno capire cosa vuol dire essere donne di qualità:

1. Heather Parisi dilaga dallo schermo televisivo con una lezione di realismo controcorrente Link

2. Un articolo su Libero Quotidiano in onore di Agnese Renzi, assolutamente meritato Link







«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

martedì 6 dicembre 2016

Oh, che cose strane!


Un padre molto presente in famiglia aiuta lo sviluppo dei figli così che diventino donne e uomini più equilibrati. Se sono ben seguiti i ragazzi hanno infatti il 28% di probabilità in meno di avere problemi del comportamento. Questo quanto dice una ricerca dell’Università di Oxford, che ha esaminato un campione di seimila bambini, seguiti per dieci anni.

Il povero Professor Risè, docente di Psicologia dell’educazione all’Università Bicocca di Milano, è una vita che predica l'importanza della figura maschile nell'equilibrio dello sviluppo umano, ha scritto articoli e libri su questo. Come lui tanti altri. Senza molto esito, considerata la violenta politica antimaschile in corso, Ora è arrivato pure questo studio inglese, servirà? Ma è necessaria una ricerca per dire l'ovvio? Serve un metereologo per ricordare che se piove ci si bagna? Eppure nella nostra epoca bisogna utilizzare le ricerche scientifiche al posto del buon senso, gli studi universitari invece della semplice osservazione. Oggi reagiamo con un "Ohhh" a chi ci ricorda qualcosa che i contadini di 50 anni fa capivano senza essere mai andati a scuola... 
Si,  il padre è indispensabile per la salute dei figli. Ma è indispensabile anche per la salute della moglie. Come la donna è indispensabile per la salute del marito. Ohh! Ma godiamoci un pò di stupore, non togliamo la sorpresa: dalla manica, come un sapiente prestigiatore, tiriamo fuori anche la notizia  che una famiglia unita fa star  bene e una piena di conflitti fa star male. Per sommo godimento e non farci parlare dietro riveliamo pure che una famiglia unita lo è se tutti i componenti cercano di superare il proprio egoismo e si mettono a servizio gli uni degli altri. Ohh!  Ma la ricerca non dice una cosa importante, e cioè che il padre dovrebbe anche essere maschio, possibilmente eterosessuale e vagamente onesto. E' roba vecchia, parliamo di buon esempio, quindi è giusto prcisarla visto che oggi abbiamo i Lapo Elkann che vanno a trans e cocaina, o i Dott. Cazzaniga  medici di Saronno, così bravi nell'anestesia che i pazienti si addormentano per l'eternità con divertimento annesso (l'amante infermiera). 
Ricordo pure, a rischio di provocare un infarto a qualcuno, che le donne, se vogliono collaborare all'educazione dei figli, devono pensarci bene prima con chi li fanno. Un uomo che si compiace di sè non sarà mai un buon padre, un uomo che non guarda le necessità degli altri non guarderà nemmeno i figli. Donna avvisata mezzo salvata.
«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)