giovedì 27 ottobre 2016

Voglio essere quello che mi pare: un cadavere

Un mio paziente, che ringrazio,  mi segnala questo articolo di qualche tempo fa, nel quale si raccontava la storia di Nathan (ma venuto al mondo come Nancy) che in Belgio ha scelto l'eutanasia dopo che il cambio di sesso non l'aveva soddisfatta.
Non si era sentita accettata come femmina nella sua famiglia, ha fatto l'impossibile per diventare maschio, e dopo tanta fatica e sacrifici, ancora infelice nel suo nuovo corpo ha chiesto e ottenuto di morire. 
Quando l'uomo pretende di decidere chi deve essere e vuole costruirsi la sua vita in base ai suoi criteri, va sempre incontro al disastro.
Il Belgio, come altri paesi "avanzati" avanzato in realtà lo è davvero: è l'avanzo della civiltà. Si vanta di concedere a chiunque di disporre di sè come vuole e quello che ottiene sono culle vuote e tombe piene. 

Leggiamo nell'articolo che in questo caso il medico sostiene di poter parlare di "sofferenze psicologiche insopportabili". E allora? Aiutare a curare o ad affrontare sofferenze è proprio il compito di chi svolge una professione sanitaria; un medico che vede il suo paziente soffrire e invece di curarlo come può sostiene il suo abbattimento possiamo ancora definirlo medico? O non piuttosto l'ultimo disperato servo di una fallimentare volontà di potenza? Il fatto è che se cogliamo il sacro in ogni essere umano, nessua sofferenza è insopportabile, altrimenti la vita stessa diventa una beffa insostenibile da terminare quanto prima.

«In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» (George Orwell)

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