venerdì 22 dicembre 2006

Lettera ad un uomo vivo (a Piergiorgio Welby)

Ciao Piergiorgio,
non ci conosciamo, eppure ti sento quasi un mio intimo amico. Forse perchè hai sperimentato sulla tua pelle angoscia e sofferenza, dolore e abbandono; questa comune esperienza ci rende tutti amici, perchè ogni persona prima o poi sperimenta il dolore, e ogni persona ad un certo punto arriva al capolinea della vita. Scusami perciò se ti scrivo qualche riga, ma non potevo fare a meno di dirti alcune cose.

Ora che sei morto e che vedi le cose con uno sguardo certamente più chiaro e più ampio, penso che tu abbia cambiato alcune tue idee. Dimmi, se non sono troppo indiscreto: cosa ne pensi della tua agonia? Era proprio così urgente porre fine alla tua vita in questo modo? Credi davvero, adesso che sei nell'eternità, che la tua esistenza aveva avuto un senso solo quando eri giovane e sano e che da quando la malattia si era impossessata del tuo corpo eri diventato solo uno straccio inutile da buttare nella spazzatura?
Adesso, come puoi vedere, i tuoi "amici" stanno danzando intorno al tuo cadavere, felici di averti usato per propagandare le loro idee di razzismo e di morte. Sì, Piergiorgio, di razzismo, e tu ora lo sai bene. Perchè se una persona può essere aiutata a suicidarsi solo perchè ha dei gravi problemi, e un'altra invece ha diritto ad essere salvata se sta in buona salute, allora ci sono due pesi e due misure, ci sono esistenze di serie A e quelle di serie B. Allora il neonato con delle patologie vale meno di un manager disoccupato, o un handicappato meno di una velina da calendario abbandonata dal fidanzato.

Piergiorgio, adesso che sai, che sai che sei stato usato come cavallo di Troia per un progetto di morte, non ti senti tradito? Tu stavi male, e invece di trovare qualcuno vicino al tuo letto per mostrarti il valore della tua vita anche (e ancor di più) in quelle condizioni, invece di trovare un amico vero che ti accompagnasse alla tua morte naturale aiutandoti ad intraprendere con serenità il tuo ultimo viaggio, hai trovato giornali strombazzanti a pontificare sulla libertà. Ma tu, Piergiorgio, che libertà avevi? In quella disperata ribellione alla malattia che non sapevi accettare (e chi di noi sa accettare fino in fondo le proprie - piccole - malattie!) non eri libero, eri turbato e condizionato da tante emozioni. E noi, invece di aiutarti a vedere chiaro e a sostenerti, ti abbiamo spinto nel baratro. E' stato un signore laureato in medicina che ha messo a disposizione le sue mani per provocarti la morte, ma la responsabilità non è solo sua. E' di chi in nome della libertà giustifica tutto. Noi psicologi verifichiamo ogni giorno, e adesso te ne rendi conto anche tu, che l'uomo non è mai totalmente libero. Ci sono innumerevoli fattori che la limitano. E poi, quale libertà abbiamo? quella di distruggerci e di annientarci? Quella di fare il comodo nostro, alla faccia di qualsiasi etica e morale? Se il principio è quello, caro Piergiorgio, allora spiegalo, spiegalo ai bambini che incontrerai, a quelli che si sono prostituiti per soddisfare la libertà del godimento sessuale dei loro clienti e poi sono stati lasciati morire di fame e di stenti, spiegagli che nessuno li ha violentati, che loro erano consenzienti e quindi quei clienti hanno solo avuto un rapporto libero con dei bambini liberi.

Caro amico, sono sicuro che Dio, nella sua misericordia abbia compreso la tua disperazione che non è stata consolata, e che ora tu sia felice con Lui. Se è così, allora sicuramente avrai l'occasione di incontrare Karol Woijtila. Ti ricordi, Piergiorgio, la sua agonia è stata anch'essa lunga e straziante, ma vissuta con ben altro spirito: mentre era nel suo letto di dolore, aspettando il momento naturale della morte, parlava con i suoi giovani, gli raccontava con i suoi lamenti e il suo sguardo la bellezza della vita, il valore di ogni persona, la grandezza dell'eternità. E in Piazzza San Pietro c'ero anch'io, insieme ad altre migliaia di persone, a guardare quella finestra e a partecipare ad un evento sacro. Quando è morto, le lacrime non erano di disperazione, ma di gioia e di speranza. Quella è stata una morte libera, libera dai condizionamenti del "politicamente corretto", che pretende che un capo di stato sia sempre bello, muscoloso, dalla mascella volitiva e dai cojioni (scusa, diciamo così a Roma) esuberanti. Quando sei morto tu - Piergiorgio - mi dispiace dirtelo, ma tanto lo vedi da solo, la tua scomparsa è stata solo fonte di polemiche e di amarezza. Non è stata una morte serena, non è stata una morte inaspettata e tragica, è stato un ultimo stridulo grido presuntuoso di un'umanità che ha deliri di onnipotenza, e che sapendo di non poter creare la vita quanto meno prova a farla fuori. Sappi Piergiorgio che non accuso te, ci mancherebbe altro, tu eri solo una persona spaventata e angosciata, non voglio entrare nella tua coscienza, io accuso la presunzione di chi è incapace di vivere con gioia la vita e pretende di imporre agli altri la stessa miope triste incapacità. Gente che non sa aiutare se stessa e che si improvvisa maestra di altri, gente che campa di provocazioni (a proposito, Piergiorgio, hai saputo del penoso spettacolo della statuine gay nel presepio del parlamento?) e ha paura di confrontarsi con le sfide dell'esistenza.
Mi viene in mente una mia piccola esperienza; prima di salutarti, caro amico, te la racconto. Qualche anno fa ho incontrato un detenuto malato di AIDS a cui i medici avevano dato pochissimo tempo da vivere. Invece di cedere alla tentazione abituale, cioè di distrarlo dalla sua situazione, avere un tono falsamente consolatorio, spostare l'attenzione su altri aspetti, ecc. ho preferito affrontare il toro per le corna: "Visto che tra poco devi morire, questi ultimi giorni di vita come intendi passarli? Hai vissuto male i tuoi giorni, tra un reato e un altro, ora prova a chiudere alla grande; preparati ad uscire di scena con la tua dignità di essere umano, sarebbe bello se chiudessi gli occhi andando incontro all'eternità a testa alta". Quel detenuto di circa 38 anni accettò la mia provocazione, ci confrontammo e fu uno degli incontri più belli della mia vita professionale. Da allora, grazie a questo carcerato che di lì a poco ci lasciò, ho cambiato di molto la mia prospettiva. Anche la tua fine mi ha colpito molto, ma ha confermato le mie convizioni.
Spero che tu ora sia un uomo vivo, felice e libero sul serio. Molti sostenitori dell'eutanasia ora si stanno preparando a mangiare il panettone. Cosa avranno da festeggiare non lo so proprio. Bisogna che qualcuno glielo dica che il Natale è la festa della vita, comunque essa si manifesti, loro cosa c'entrano?
Piergiorgio Welby, un abbraccio davvero affettuoso, e non guardarci con disprezzo.

martedì 19 dicembre 2006

Un Natale inutile

Un Natale inutile, per chi pensa sia la festa della bontà e delle opere buone.
Per chi espone la sacra famiglia e non considera sacre tutte le famiglie.
Per chi sgomita per entrare nei centri commerciali e la notte di Natale gira al largo dalla chiesa.

Un Natale inutile, per chi fa statistiche sulla vendita dei presepi e non si ferma a meditare davanti al presepio.
Per chi compra il bambinello ai propri figli e approva l'aborto.

Un Natale inutile, per chi si affanna a cercare regali e dimentica "Il" regalo.
Per chi non è credente, perchè diventa una festa ipocrita e noiosa.

Un Natale inutile, per chi vuole uccidere Welby e fa iniziative per proteggere la vita delle iguane.

Un Natale inutile, per chi vive nel chiasso e non è più capace di fare silenzio e di ascoltare.

A tutti quelli che rischiano di festeggiare un Natale inutile auguro un Natale scandaloso e violento, che faccia traballare tutte le loro sicurezze e che regali loro una vita davvero rinnovata (e non solo fino al 6 gennaio).
Auguri di cuore a tutti